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martedì 21 giugno 2022

La monetazione nell'antica Roma

Rapporti fra monete nell'antica Roma, immagine
modificata di I, Sailko, CC BY-SA 3.0, da https://
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10879621
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La monetazione romana si riferisce al periodo intercorso fra le emissioni delle prime forme premonetali della Roma antica alle monete emesse fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente.

Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (21 aprile 753 a.C.) a tutto il periodo monarchico (753-509 a.C.) e parte del periodo repubblicano, fino al III secolo a.C., il commercio non si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava come mezzo di scambio scarti di lavorazione di bronzo informi (aes rude), in base al valore intrinseco, ossia il valore del materiale.

La parola latina aes (aeris al genitivo, da cui deriva la parola erario) significava bronzoaes in italiano è tradotto come "asse".

Il valore dell'aes rude era determinato dal peso e quindi doveva essere pesato ad ogni transazione. Su iniziativa di singoli mercanti quindi, si iniziò ad utilizzare getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare su cui era riportato il valore, detti aes signatum, sulla cui superficie venivano impressi i simboli dei marchi che richiamavano l'autorità dell'emittente e ne garantissero quindi l'autenticità. L'aes signatum è considerato un primo passo verso una prima forma di moneta, ma il suo valore era determinato dal peso e all'epoca non vi era una uniformità dei diversi lingotti di bronzo, che pesavano dai 0,5 kg fino a 3 kg.

Nei censimenti, utili per stabilire il censo dei cittadini romani, al fine di integrarli nell'esercito, i più ricchi erano gli "equites", i cavalieri, con un reddito di più di 100.000 assi, che potevano possedere e mantenere un cavallo, e disporre di protezioni oltre alle armi offensive (elmi e corazze), anche se la cavalleria romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe

Asse grave dell'antica Roma repubblicana, con 
la testa del dio Giano al diritto e la prua di una
galea al rovescio, da https://it.wikipedia.org/wiki
/Asse_(moneta)#/media/File:Eckhel_i_3.jpg
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1) La prima classe dei "pedites", i fanti, era formata da 80 centurie di fanteria, che potessero disporre di un reddito di più di 100.000 assi. Era la classe maggioritaria che costituiva il cuore della falange oplitica dello schieramento romano regio, la prima linea. L'asse romano (in latino as, gen. assis) era una moneta di bronzo (in seguito di rame) in uso durante la Repubblica e l'Impero Romano, introdotta durante il IV secolo a.C. in forma di una grande moneta fusa di bronzo. La parola as indica un'unità di misura di peso e in origine la moneta era bronzo fuso e prodotto su uno standard librale, cioè pesava una libra (circa 327 g). Durante la Repubblica di norma l'asse era caratterizzato dalla testa di Giano al diritto e da una prua di una galea al rovescio. Un sesterzio equivaleva a quattro assi e nel I secolo d.C. con un asse si potevano acquistare 542 grammi di grano, due chili di lupini, un quarto di vino comune, mezzo chilo di pane, o entrare alle terme; quindi un asse poteva valere all'incirca 0,5 € e un sesterzio circa 2 €.

La falange greca, formazione serrata con cui
combattevano gli Opliti dell'antica Grecia.
2) La seconda classe dei pedites era formata da 20 centurie e i loro componenti disponevano di un reddito tra i 100.000 ed i 75.000 assi. Costituiva la seconda linea.

3) La terza classe dei pedites era costituita da altre 20 centurie di fanteria leggera e il reddito pro-capite era tra i 75.000 ed i 50.000 assi.

4) La quarta classe dei pedites era composta da ulteriori 20 centurie di fanteria leggera con un reddito tra i 50.000 ed i 25.000 assi.

5) La quinta classe dei pedites era formata da 30 centurie di fanteria leggera con un reddito di appena 25.000-11.000 assi a persona.

Chi era sotto la soglia degli 11.000 assi era organizzato in una sola centuria, dispensata dall'assolvere agli obblighi militari (i cui membri erano chiamati proletarii o capite censi), tranne quando vi fossero particolari pericoli per la città di Roma e, a partire dalle guerre puniche, venne impiegata nel servizio  navale


La prima moneta standardizzata da parte dello stato fu quindi l'aes grave (asse in italiano), introdotta con l'avvio dei commerci su mare intorno al 335 a.C.
Asse grave romano in bronzo del 240-
225 a.C. di 259,53 g, di Classical
Numismatic Group, Inc. http://www
.cngcoins.com
, CC BY-SA 3.0 https
://commons.wikimedia.org/w/index
.php?curid=37054217

Il peso dell'asse (aes grave) era pari ad una libbra romana (327,46 g) e avendo un peso costante può essere considerata come una prima unità di misura della monetazione, infatti il valore nominale, ossia quello "stampato, o meglio impresso sulla moneta" era uguale al valore intrinseco. Queste monete erano diverse per fattezza ma avevano lo stesso peso e quindi lo stesso valore standard. Multipli dell'asse furono il dupondio (2 assi), il tripondio (3 assi) ed il decusse (10 assi). Frazioni dell'asse furono il semisse (mezzo asse), il triente (un terzo d'asse), il quadrante (un quarto d'asse), il sestante (un sesto d'asse) e l'oncia (un dodicesimo d'asse).

Con il passaggio alla monetazione al martello, l'asse diventerà una moneta fiduciaria, il cui valore non era cioè più legato al contenuto in metallo.

Il peso dell'asse conobbe una progressiva diminuzione, acquisendo via via il peso delle sue frazioni: mezza libbra romana nel 286 a.C., un sesto di libbra nel 268 a.C., 1 oncia (cioè un dodicesimo di libbra) nel 217 a.C. e mezza oncia nell'89 a.C. L'uso del bronzo in periodo repubblicano terminò nel 79 a.C., per riprendere solo durante il principato.

Monetazione di stile greco - Le prime monete battute emesse da Roma furono alcuni didracmi d'argento e alcune monete frazionarie collegate, sia in argento che in bronzo. Queste monete sono comunemente indicate con il nome di romano-campane, in quanto furono molto probabilmente coniate, sullo stile di quelle greche, in Campania nel III secolo a.C., allo scopo di facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia.

La dracma è stata la prima moneta d'argento battuta dall'antica Roma, nel corso del III secolo a.C.

È difficile attribuire un valore a questa moneta che sia comparabile con le valute attuali, a causa delle profonde differenze tra le economie. Gli storici classici affermano regolarmente che tra la fine della Repubblica romana e gli inizi dell'Impero romano, il salario giornaliero di un operaio era di una dracma.

E il rapporto con gli oboli era: 1 dracma = 6 oboli

Al tempo delle guerre puniche, la paga per i legionari era fissata a 2 oboli al giorno, ovvero un terzo di una dracma e un denario, dopo il 211 a.C., per il tutto periodo che avevano passato sotto le armi.

Anche se i didracmi romani era chiaramente di stile greco, i tipi erano caratteristici delle culture italiche: Marte, Minerva, la lupa con i gemelli, Giano. L'etnico che inizialmente, secondo l'usanza greca, era "ROMANO", diventa presto ROMA, secondo le abitudini italiche.

Quadrigato, di Classical Numismatic
Group, Inc, http://www.cngcoins.com,
CC BY-SA 3.0 https://commons.
wikimedia.org/w/index.php?curid=
507507

La moneta più famosa è conosciuta col nome di quadrigato. Presenta al dritto una testa giovanile di Giano ed al rovescio Giove e la Vittoria su una quadriga, da cui il nome.

Moneta degli Italici non ancora
cittadini romani. A sinistra, testa
laureata dell'Italia con legenda osca
retrograda UILETIV (Víteliú, l'Italia).
A destra, un soldato elmato stante,
di fronte che tiene una lancia puntata
in terra con il piede destro su uno
stendardo e a sinistra un toro a terra.  
Le prime didracme pesavano intorno ai 7 g (7,3 - 6,8); le ultime intorno ai 6,6 g.

Moneta degli Italici non ancora cittadini
romani. A sinistra testa laureata dell'Italia
con legenda latina ITALIA, si tratta della prima
documentazione epigrafica del nome Italia.
A destra, giovane inginocchiato ad uno
stendardo, tiene un maiale al quale otto soldati
(4 per lato) puntano le loro spade; "P" in esergo.
Queste monete sono contemporanee alle emissioni di una serie di colonie e socii, tra cui Cales, Suessa, Teanum Sidicinum, con tipi simili, che fanno ipotizzare l'esistenza di accordi monetari. 

Il primo sistema monetario repubblicano e alto-imperiale è stato:

1 Aureo = 25 Denari = 100 Sesterzi = 200 Dupondi = 400 Assi

Denario - La moneta d'argento che costituì l'ossatura dell'economia romana fu il denario, battuto per la prima volta a Roma intorno al 211 a.C.; il suo valore iniziale era di 10 assi, pari a 1/72 di libbra (4,55 g), ed aveva come frazioni il quinario (1/2 denario) ed il sesterzio (1/4 di denario). Il denario fu poi rivalutato a 16 assi (dal 118 a.C.), facendo seguito alla riduzione del valore di quest'ultimo.

Valori repubblicani (dal 221 al 118 a.C.):

                Denario     Sesterzio     Dupondio     Asse      Semisse      Triente     Quadrante     Quincunx    Oncia

Denario         1                4                 5             10             20            30               40                24           120

Sesterzio        ¼               1               1 ¼          2 ½            5              7 ½             10                 6             30

Dupondio      1/5             4/5              1              2               4               6                 8                4 4/5         24

Asse              1/10           2/5              ½             1               2               3                 4                2 2/5         12

Semisse         1/20           1/5               ¼            ½              1              1 ½              2                 1 1/5         6

Triente           1/30           2/15            1/6          1/3            2/3             1              1 1/3                4/5          4

Quadrante     1/40           1/10            1/8           ¼               ½             ¾                1                   3/5          3

Quincunx       1/24           1/6              5/24        5/12           5/6           1 ¼           1 2/3                1             5

Oncia            1/120         1/30             1/24       1/12           1/6             ¼              1/3                1/5           1

Denarius del 78 a.C., durante la dittatura di Lucio
 Silla, con lo Jupiter risorto in fronte e il tempio di
Giove Capitolino sul retro, oltre all'iscrizione del
magistrato Marcus Volteius; da https://www.
harneycoins.com/post/jupiter-resurgent
-a-denarius-showing-the-temple-of-
jupiter-capitolinus?s=09
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Il denario rimase la moneta più importante del sistema monetario romano fino alla riforma monetaria di Caracalla, all'inizio del III secolo, quando fu di fatto sostituito dall'antoniniano. Venne anche coniata un'altra moneta d'argento, il vittoriato con un valore pari a 3 sesterzi, di scarsa diffusione e usata quasi esclusivamente nei commerci con i Greci dell'Italia meridionale prima, e con le Gallie dopo. Accanto al denario furono battute monete in bronzo: l'asse e le sue frazioni. La produzione di monete in oro (aureo) avvenne in maniera estremamente sporadica prima della conquista della Gallia (e delle sue miniere) da parte di Giulio Cesare. Le prime emissioni di aurei, ricalcando anche in questo caso il sistema monetario greco per facilitare gli scambi con il sud dell'Italia e con l'Oriente, si ebbero nel 286 a.C. (con un peso per l'aureo di 6,81g) e nel 209 a.C. (con un peso di 3,41 g). I primi aurei realmente romani vennero coniati nell'87 a.C. da parte di Silla (con un valore di 1/30 di libbra, 9,11 g), seguiti da emissioni nel 61 a.C. da parte di Pompeo (con un valore di 1/36 di libbra, 9,06 g), nel 48 a.C. da parte di Cesare (con un valore di 1/38 di libbra, 8,55 g) ed ancora nel 48 a.C., sempre da parte di Cesare (con un valore di 1/40 di libbra, 8,02 g).

Gaio Giulio Cesare (per Caesar in latino, pronuncia "kaesar", nasce il 13 luglio del 101 o il 12 luglio del 100 a.C. nella Suburra, un quartiere di Roma, da un'antica e nota famiglia patrizia, la gens Iulia, che secondo il mito, annoverava tra gli antenati anche il primo e grande re romano Romolo e discendeva da Iulo (o Ascanio), figlio del principe troiano Enea, figlio a sua volta della dea Venere. Il ramo della gens Iulia che portava il cognomen "Caesar" discendeva, secondo il racconto di Plinio il Vecchio, da un uomo venuto alla luce in seguito a un taglio cesareo. La Storia Augusta suggerisce invece tre possibili spiegazioni sull'origine del nome: «Le congetture cui ha dato luogo il nome di Cesare, l'unico di cui il principe del quale racconto la vita si sia mai fregiato, mi sembrano degne di essere riferite. Secondo l'opinione dei più dotti e informati, la parola deriva dal fatto che il primo dei Cesari fu chiamato così per aver ucciso in combattimento un elefante, animale chiamato kaesa dai Mauri.
Denarius del 49/48 a.C. con nome
e simbolo di Giulio Cesare, da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Gaio
_Giulio_Cesare#/media/File
:CaesarElephant.jpg
Altra opinione è che il termine derivi dal fatto che, per darlo a luce, fu necessario sottoporre la madre, che era morta prima di partorire, a un'operazione di parto cesareo (dal verbo latino caedo-ĕre, 'tagliare'). Si crede inoltre che la parola possa derivare dal fatto che il primo dei Cesari nacque con i capelli lunghi o dal fatto che aveva degli occhi celesti incredibilmente vispi (dal latino oculis caesiis). Bisogna comunque considerare felice la circostanza, quale che fu, che diede origine a un nome tanto famoso, che durerà in eterno.» (Elio Sparziano, Historia Augusta, II,3). Visto il denarius che Giulio Cesare farà coniare nel 49/48 a.C. con il suo simbolo, un elefante che calpesta un serpente, è probabile che la prima ipotesi sia quella esatta.

Nonostante le origini aristocratiche, la famiglia di Giulio Cesare non era ricca per gli standard della nobiltà romana, né particolarmente influente. Ciò rappresentò inizialmente un grande ostacolo alla sua carriera politica e militare, e Cesare dovette contrarre ingenti debiti per ottenere le sue prime cariche politiche. Inoltre, negli anni della giovinezza dello stesso Cesare, lo zio Gaio Mario si era attirato le antipatie della nobilitas  repubblicana (anche se successivamente Cesare riuscì a riabilitarne il nome) e questo metteva anche lo stesso Cesare in cattiva luce agli occhi degli optimates. Il padre, suo omonimo, era stato pretore nel 92 a.C. e aveva probabilmente un fratello, Sesto Giulio Cesare, che era stato console nel 91 a.C. e una sorella, Giulia, che aveva sposato Gaio Mario intorno al 110 a.C. Sua madre era Aurelia Cotta, proveniente da una famiglia che aveva dato a Roma numerosi consoli. Il futuro dittatore ebbe due sorelle, entrambe di nome Giulia: Giulia maggiore, probabilmente madre di due dei nipoti di Cesare, Lucio Pinario e Quinto Pedio, menzionati insieme a Ottaviano nel suo testamento, e Giulia minore, sposata con Marco Azio Balbo, madre di Azia minore e di Azia maggiore, a sua volta madre di Ottaviano. Nell’antica Roma il nome individuale di una donna doveva rimanere segreto, infatti mentre gli uomini avevano il loro nome, poi il nome della gens ed infine il cognomen, le donne son indicate sempre con il nome della gens cui appartengono - cosa che spesso induce errori nelle trattazioni storiche - e vengono distinte con maior o minor in base all’anzianità o con un numero ordinale, secundatertia, ecc. ecc. La famiglia viveva in una modesta casa della popolare e malfamata Suburra, dove il giovane Giulio Cesare fu educato da Marco Antonio Gnifone, un illustre grammatico nativo della Gallia.

Nello stesso anno (72 a.C.) Gaio Giulio Cesare torna a Roma dove è eletto tribuno militare per l'anno seguente, risultando addirittura il primo degli eletti. Si impegna quindi nelle battaglie politiche sostenute dai populares, ovvero l'approvazione della Lex Plotia (che avrebbe permesso il rientro in patria di coloro che erano stati esiliati dopo aver partecipato all'insurrezione di Lepido) e il ripristino dei poteri dei tribuni della plebe, il cui diritto di veto era stato notevolmente ridimensionato da Silla, che aveva voluto evitare colpi di mano da parte dei populares. Il ripristino della tribunicia potestas fu però ottenuto soltanto nel 70 a.C., l'anno del consolato di Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso. Entrambi avevano acquisito un grande prestigio portando a termine rispettivamente la guerra contro Quinto Sertorio in Spagna, e quella contro gli schiavi guidati da Spartaco. Crasso in particolare era in stretti rapporti con Cesare (lo aiutò infatti più volte finanziandone le campagne elettorali) poiché, per quanto incredibilmente ricco grazie alle proscrizioni sillane, gli serviva l'appoggio, durante la sua campagna elettorale, del carisma di Cesare, nascente leader popolare.

Nel 63 a.C. Giulio Cesare è eletto pontefice massimo, dopo la morte di Quinto Cecilio Metello Pio, che era stato nominato da Silla. Cesare, per quanto scettico, si era battuto perché il pontificato tornasse a essere, dopo la riforma sillana, una carica elettiva e comprendeva perfettamente quale aspetto avrebbe avuto la sua figura se insignita della carica di tutore del diritto e del culto romano. A sfidarlo c'erano però rappresentanti della fazione degli optimates  molto più anziani e già da tempo giunti al culmine del cursus honorum, quali Quinto Lutazio Catulo e Publio Servilio Vatia Isaurico. Cesare allora, aiutato anche da Marco Licinio Crasso, si procurò grandi somme di denaro che usò per corrompere l'elettorato e fu dunque costretto a pagare un prezzo altissimo per la sua elezione: il giorno del voto, uscendo di casa, promise infatti alla madre che ella lo avrebbe rivisto pontefice oppure esule. La nettissima vittoria di Cesare gettò nel panico gli optimates, mentre costituì per il neoeletto pontefice una nuova acquisizione di prestigio, in grado di assicurargli la nomina a pretore per l'anno seguente. Con Giulio Cesare il numero dei Pontefici passerà da 9 a 16 e per evidenziare l'importanza della sua carica, lasciò la casa natale nella Suburra per  trasferirsi sulla via Sacra, cominciando ad attuare una politica volta ad accattivarsi anche le simpatie di Pompeo Magno, mentre la moglie Pompea Silla lo seguirà nell'abitazione consacrata al capo del collegio sacerdotale sulla via Sacra.

Plutarco in Vite Parallele, precisa di non voler essere uno storico ma un biografo e che non cerca di stilare un elenco di episodi a cui un personaggio storico ha partecipato ma è interessato invece a svelare comportamenti che rivelino la forma mentis del soggetto stesso. Su Cesare scrive: "Egli prima di tutto elargì senza risparmio denaro e beneficenza. Così dava a vedere di non voler ottenere dalle spedizioni di guerra ricchezze che servissero al suo lusso e al suo benessere personale, ma metteva da parte e conservava per premiare chiunque compisse un atto di valore: la sua parte di ricchezza consisteva in ciò che dava ai suoi soldati meritevoli. In secondo luogo si sottopose di sua volontà ad ogni loro rischio e non si sottrasse a nessuna delle loro fatiche. Che amasse il pericolo non stupiva i suoi uomini perché sapevano quanto era ambizioso; ma la sua resistenza ai disagi superiore alla forza apparente del suo corpo li meravigliava. Cesare era di costituzione fisica asciutta di carnagione bianca e delicata; subiva frequenti mal di testa e andava soggetto ad attacchi di epilessia: la prima manifestazione l’ebbe, sembra, a Cordova. Eppure non sfruttò la sua debolezza come un pretesto per essere trattato con riguardo; al contrario fece del servizio militare una cura della propria debolezza. Compiendo lunghe marce consumando pasti frugali dormendo costantemente a cielo aperto, sottoponendosi ad ogni genere di disagi, combatté i suoi malanni e serbò il suo corpo ben difeso dai loro assalti. Si coricava la maggior parte delle notti su qualche veicolo e nella lettiga, sfruttando il riposo per fare qualcosa. Durante il giorno si faceva portare in visita alle guarnigioni, alle città, agli accampamenti ed aveva seduto al fianco uno schiavo che era abituato a scrivere sotto dettatura anche in viaggio, e dietro, in piedi, un soldato con la spada sguainata."  (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 32). E ancora: "Si alleò con Crasso, il più ricco dei Romani: Cesare, che aveva ottenuto la provincia di Spagna (nel 61 a.C. Cesare divenne governatore della Spagna ulteriore, N.d.R.), non poteva partire prima di aver saldato i suoi debiti, mentre Crasso aveva bisogno dell’energia e  della passione di  Cesare per la sua lotta contro Pompeo. Crasso accettò di pagare i creditori più pressanti e inflessibili e diede garanzie per 830 talenti e così Cesare poté partire per la provincia.

Un talento (in latino talentum, in greco antico τάλαντον, "talanton" col significato di 'scala, bilancia, somma') era un'antica unità di misura della massa. Era un peso di riferimento per il commercio, nonché una misura di valore pari alla corrispondente quantità di metallo prezioso. Si parla del talento nell'Iliade, quando Achille dà mezzo talento d'oro ad Antiloco come premio e nella Bibbia, in particolare nei Libri delle Cronache, ad esempio quando sono citati i talenti d'oro, d'argento, di bronzo e di ferro, donati per l'edificazione del primo tempio di Gerusalemme. La quantità di massa di un talento era diversa tra i diversi popoli: in Grecia il talento attico corrispondeva a 26 kg, a Roma valeva 32,3 kg, in Egitto 27 kg e a Babilonia 30,3 kg. Gli Ebrei e altri popoli orientali usavano il talento babilonese, anche se nel tempo ne modificarono la quantità: al tempo del Nuovo Testamento il peso del talento era di 58,9 kg.


Marco Licinio Crasso
da QUI.
Nel 60 a.C. si stipula il primo triumvirato, accordo privato mantenuto segreto per un po' di tempo come parte del progetto politico dei Triumviri per la spartizione del potere fra Gaio Giulio Cesare e Gneo (pronuncia G dura di "ghianda") Pompeo Magno con Marco Licinio Crasso, quest'ultimi colleghi consoli nel 70 a.C., quando avevano emanato una legge per il completo ripristino dei poteri dei tribuni della plebe (Lucio Cornelio Silla aveva di fatto tolto tutti i poteri ai tribuni della plebe ad eccezione dello ius auxiliandi, il diritto di aiutare un plebeo in caso di persecuzioni da parte di un magistrato patrizio) ma che fino a quel momento avevano avuto una notevole antipatia reciproca, giacché ognuno riteneva che l'altro avesse superato i propri limiti per aumentare la sua reputazione a spese del collega. Il primo triumvirato ebbe  notevolissime ripercussioni sulla vita politica, dettandone gli sviluppi per quasi dieci anni e segnò l'inizio  dell'ascesa politica di Gaio Giulio Cesare.
Crasso era l'uomo più ricco di Roma (aveva infatti finanziato la campagna elettorale di  Cesare per il consolato) ed era un esponente di spicco della classe dei cavalieri. Pompeo, dopo aver brillantemente risolto la guerra in Oriente contro Mitridate e i suoi alleati, era il generale con più successi alle spalle. Il rapporto tra Crasso e Pompeo non era dei più idilliaci, ma Cesare con la sua fine abilità diplomatica seppe riappacificarli, vedendo in un'alleanza tra i due l'unico modo in cui egli stesso avrebbe potuto raggiungere i vertici del potere. Crasso serbava infatti verso Pompeo un certo rancore da quando aveva celebrato il trionfo per la guerra contro Sertorio in Spagna e la vittoria contro gli schiavi ribelli che, soffocata la rivolta di Spartaco, cercavano di fuggire dall'Italia per attraversare l'arco alpino. Ogni merito era andato a Pompeo, mentre Crasso, vero artefice  della sofferta vittoria su Spartaco, aveva potuto celebrare soltanto un'ovazione.
Pompeo avrebbe dovuto sostenere la candidatura al consolato di Cesare, mentre Crasso  l'avrebbe dovuta finanziare. In cambio di quest'appoggio, Cesare avrebbe fatto in modo che  ai veterani di Pompeo  venissero distribuite delle terre, e che il Senato ratificasse i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente. Al contempo, com'era desiderio di Crasso e dei cavalieri, fu ridotto  di un terzo il canone d'appalto delle  imposte della provincia d'Asia. A rinsaldare ulteriormente quanto previsto dal triumvirato, Pompeo sposò Giulia, figlia di Cesare.

Nel 59 a.C., l'anno del suo consolato, Cesare portò al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio, e si adoperò per portare avanti le riforme concordate con gli altri triumviri. Nonostante la forte opposizione del collega Marco Calpurnio Bibulo, che tentò in ogni modo di ostacolare le sue iniziative, Cesare ottenne comunque la ridistribuzione degli appezzamenti di ager publicus per i veterani di Pompeo, ma anche per alcuni dei cittadini meno abbienti. Bibulo, una volta accortosi del fallimento della sua sterile politica volta esclusivamente alla conservazione dei privilegi da parte della nobilitas senatoriale, si ritirò dalla vita politica: in questo modo pensava di frenare l'attività del collega, che invece poté attuare in tutta tranquillità il suo rivoluzionario programma. Cesare infatti programmò la fondazione di nuove colonie in Italia e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di concussione (lex Iulia de repetundis), facendo approvare allo stesso tempo delle leggi che favorissero l'ordo equestris: con la lex de publicanis egli ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo Stato, favorendo così le loro attività. Fece infine promulgare una legge che imponeva al Senato di stilare le relazioni di ogni seduta (gli Acta Senatus). In questo modo Cesare si assicurava l'appoggio di tutta la popolazione romana, ponendo le basi per il suo futuro successo.

Durante il consolato, grazie all'appoggio dei triumviri, Cesare ottenne con la lex Vatinia del 1º marzo il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito composto da tre legioni (VII, VIII e VIIII). Poco dopo un senatoconsulto gli affidò anche la vicina provincia della Narbonense, il cui proconsole, Quinto Cecilio Metello Celere, era morto all'improvviso, e la X legione.

Il Senato sperava con le sue mosse di allontanare il più possibile Cesare da Roma, proprio mentre egli stava acquisendo una sempre maggiore popolarità. Quando lo stesso Cesare promise di fronte al Senato di compiere grandi azioni e riportare splendidi trionfi in Gallia, uno dei suoi detrattori, per insultarlo, urlò che ciò non sarebbe stato facile per una donna, alludendo ai costumi sessuali dell'avversario; il proconsole designato rispose allora ridendo che l'essere donna non aveva impedito a Semiramide di regnare sulla Siria e alle Amazzoni di dominare l'Asia. Cesare seppe comprendere le potenzialità che l'incarico affidatogli presentava: in Gallia avrebbe potuto conquistare immensi bottini di guerra (con i quali saldare i debiti contratti nelle campagne elettorali), e avrebbe acquisito il prestigio necessario per attuare la sua riforma della res publica.

Prima di lasciare Roma, nel marzo del 58 a.C., Cesare incaricò il suo alleato politico Publio Clodio Pulcro, tribuno della plebe, di fare in modo che Cicerone fosse costretto a lasciare Roma. Clodio fece allora approvare una legge con valore retroattivo che puniva tutti coloro che avevano condannato a morte dei cittadini romani senza concedere loro la provocatio ad populum: Cicerone fu quindi condannato per il suo comportamento in occasione della congiura di Catilina, venne esiliato, e dovette lasciare Roma e la vita politica. In questo modo Cesare cercava di assicurarsi che, in sua assenza, il Senato non prendesse decisioni che compromettessero la realizzazione dei suoi piani. Allo stesso scopo, Cesare si liberò anche di un altro esponente dell'aristocrazia senatoriale, Marco Porcio Catone, che venne allontanato da Roma e inviato propretore a Cipro. Per evitare inoltre di divenire oggetto delle accuse legali dei suoi avversari, si appellò alla lex Memmia, secondo la quale nessun uomo che si trovava fuori dall'Italia a servizio della res publica poteva subire un processo giuridico. Infine, affidò la gestione dei suoi affari a Lucio Cornelio Balbo, un eques di origine spagnola; per evitare che i messaggi che gli spediva cadessero nelle mani dei suoi nemici, Cesare adoperò un codice cifrato, che prese il nome di cifrario di Cesare.

Alla fine della conquista della Gallia, nel 50 a.C., scriveva Plinio “Senza contare i moltissimi morti causati dalla guerra civile, provocata da Cesare col passaggio del Rubicone, quattro anni di efferata guerra fratricida dovuta all’ambizione di un uomo provocarono 1.200.000 morti, massacrati da Cesare al solo fine di conquistare la Gallia. Io non posso porre tra i suoi titoli di gloria un così grave oltraggio da lui arrecato al genere umano”. E accusa Cesare di avere per giunta occultato le cifre del grande massacro: “non rivelando l’entità del massacro causato dalle guerre civili, Cesare ha riconosciuto l’enormità del suo crimine” (VIII, 92). Secondo Cesare, alla fine del conflitto gallico furono un milione i nemici morti in combattimento e un milione i prigionieri di guerra deportati in Italia; secondo Velleio Patercolo, 400.000 morti e un numero maggiore di prigionieri. Plutarco riconosce la cifra «tonda» di un milione di vittime e un milione di prigionieri (Pompeo 67, 10; Cesare 15, 5), poi venduti come schiavi, e considerando che il prezzo di ognuno di loro si aggirava sui 1.200 - 2.500 sesterzi (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €), indubbiamente Cesare si arricchì. Alla storia, rimane una guerra terribile, combattuta per quasi un decennio e nella quale, né da una parte né dall'altra, si risparmiarono le crudeltà.

Nel 45 a.C., Gaio Giulio Cesare è padrone di Roma, ed è eletto dittatore a vita. Quello stesso anno, quando il suo prozio Cesare parte per la Spagna a combattere contro i figli di Pompeo, il diciottenne Ottaviano lo segue, sebbene ancora convalescente da una grave malattia. Raggiunge Cesare con una scorta ridotta, dopo aver percorso strade infestate da nemici e dopo un naufragio. Si fa subito apprezzare dal prozio per il coraggio che dimostra. Dopo aver portato a termine anche la guerra in Spagna, Cesare, che progettava una campagna militare prima contro i Daci e poi contro i Parti, lo invia ad Apollonia (sulla riva destra del fiume Voiussa, nell'attuale Albania), dove potrà dedicarsi allo studio della retorica. Svetonio racconta che durante il soggiorno ad Apollonia, Ottaviano era salito insieme al fedele amico, Marco Vipsanio Agrippa, all'osservatorio dell'astrologo Teogene. Fu Agrippa a consultarlo per primo, ricevendo splendide previsioni sulla sua vita futura, quasi incredibili. Ottaviano, temendo di essere considerato di origini oscure, preferì inizialmente non fornire i dati relativi alla propria nascita, ma dopo numerose preghiere, vi acconsentì. Teogene allora si alzò dal suo seggio e lo adorò.

Aureo di Augusto del 17/
16 a.C. con il Capricorno,
domicilio di Saturno: QUI 

Per questo motivo Ottaviano ebbe così tanta fiducia nel suo destino che fece coniare monete con il segno del Capricorno sul retro, segno in cui Saturno è domiciliato, durante il quale era stato concepito (momento preferito rispetto a quello della nascita per stilare un oroscopo) o segno del suo Ascendente, anche se il suo Sole di nascita era nella Bilancia, segno comunque in cui Saturno è esaltato. Ad Apollonia gli giungerà la notizia dell'omicidio di Cesare.


Nel 44 a.C. l'operato di Gaio Giulio Cesare provoca la reazione dei conservatori  optimates, finché un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto, cospira contro di lui uccidendolo, alle Idi di marzo del 44 a.C. (il 15 marzo 44) nel Senato di Roma, davanti alla statua di Gneo Pompeo Magno, con decine di pugnalate. Cesare stava preparando una grande campagna militare contro i Parti con l'intenzione di ristabilire l'egemonia romana in Asia, compromessa dal disastro subito da Crasso nel 53 a.C. A Roma venne messo in giro ad arte un oracolo secondo il quale il regno dei Parti avrebbe potuto essere sconfitto solo da un re, andando ad aumentare le voci e i sospetti di aspirazioni monarchiche di Cesare, leitmotiv degli ottimati nei suoi confronti. Fu allora ordita una congiura guidata da Marco Giunio Bruto, Cassio Longino e Decimo Bruto che programmò l'attentato per il 15 marzo, in occasione di una seduta plenaria del Senato e il piano si svolse con successo. Cesare, colpito da ventitré coltellate, cadde a terra morto. Secondo Plutarco e Appiano, egli tentò di difendersi finché non vide anche Bruto snudare il pugnale, prima di colpirlo all'inguine. A quel punto si tirò la toga sul capo e si abbandonò alla violenza dei colpi. Sia Svetonio che Dione Cassio riferiscono che, secondo alcuni, le sue ultime parole, rivolte a Bruto, furono "Anche tu, figlio?". Plutarco racconta che la moglie Calpurnia ebbe una premonizione la mattina in cui Cesare fu assassinato (15 marzo 44 a.C.) e cercò inutilmente di convincere il marito a non recarsi in senato, dove più tardi avrebbe avuto luogo l'attentato. Fu Decimo Giunio Bruto Albino, uno dei congiurati, a persuadere Cesare a non ascoltare la moglie, dicendogli che avrebbe perso considerazione agli occhi dei senatori, se qualcuno avesse annunciato loro che Cesare non si era presentato alla seduta in attesa di "sogni migliori" di Calpurnia. Da lei Cesare non ebbe nessun figlio. Che si sappia,  gli unici figli di  Cesare sono stati Giulia da Cornelia Cinna minore e Cesarione  (Tolomeo XV), che ebbe da Cleopatra. Secondo la testimonianza di Plutarco, dopo la morte del marito Calpurnia consegnò a Marco Antonio gli scritti, gli appunti e tutte le ricchezze di Cesare, che ammontavano a 300 talenti. A Roma 1 talento equivaleva a 32,3 kg di metallo prezioso.

Aureo romano ritraente l'effigi di Marco
Antonio (sinistra) e Ottaviano (destra)
emesso nel 41 a.C. per celebrare il
secondo triumvirato. Si noti l'iscrizione
'III VIR R P C' (Triumviri Rei Publicae
Constituendae Consulari Potestate) su
entrambi i lati. Da QUI.

Monetazione imperatoriale - Il termine è usato per indicare le emissioni coniate degli ultimi anni della Repubblica romana, nel periodo immediatamente precedente la nascita del principato. Il termine, non accettato da tutti, deriva dal fatto che in quel periodo di guerre civili, le monete venivano emesse a nome dei generali che si combattevano tra loro in virtù del loro imperium; si tratta quindi delle monete di Pompeo, Giulio Cesare, Bruto, Cassio, Labieno, Sesto Pompeo, Lepido, Marco Antonio ed Ottaviano, da soli o assieme tra loro o con altre persone.

Denario battuto dalla zecca
itinerante di Marco Emilio
Lepido nel 42 a.C., con scritto
"Pontefice Massimo". Di
Classical Numismatic Group, Inc.
http://www.cngcoins.com, CC
BY-SA 3.0 https://commons.
wikimedia.org/w/index.php?
curid=2930269
.

Le monete emesse in questi anni rispecchiano l'andamento della lotta politica e delle guerre in corso. I contenuti propagandistici sono accentuati e per la prima volta sono rappresentate anche persone viventi.

Le monete di Ottaviano sono a cavallo tra questo periodo ed il periodo successivo.

Coniazione e ruolo della moneta - Il valore delle monete romane, e di tutte le monete antiche, era dato, a differenza delle monete attuali, dal loro valore intrinseco cioè dal valore del metallo con il quale erano realizzate. In realtà, il valore delle monete era maggiore di quello del solo metallo in esse contenute: stime del valore di un denario, ad esempio, vanno da 1,6 a 2,85 volte il suo contenuto in argento. Ovviamente, non tutte le monete in circolazione erano in metallo prezioso, per avere anche valori utilizzabili per un uso quotidiano. Nel I secolo d.C., ad esempio, con un asse si poteva acquistare mezza libbra di pane.

Questo, però, portava ad una dicotomia tra monete con elevato valore intrinseco (sulla circolazione delle quali lo stato era particolarmente attento) e quelle che non ne avevano. Questo si può constatare, ad esempio, nella scarsa produzione di monete in bronzo dalla fine del periodo repubblicano, quando dal tempo di Silla a quello di Augusto non venne coniata nessuna moneta in bronzo; anche quando queste monete venivano poi prodotte, esse erano molto grossolane e di bassa qualità. La coniazione di monete in bronzo, infatti, venne permessa a molte autorità locali, mentre questo non avvenne per le monete in metallo prezioso. Uno dei motivi per i quali l'emissione locale di monete in bronzo era considerata di scarsa importanza per Roma, risiedeva nel fatto che le spese per lo stato erano sempre di entità considerevole e quindi venivano pagate con monete in metallo prezioso.

Oltre al riflesso economico, le monete ebbero anche un ruolo fondamentale nei diffondere nella società romana idee e messaggi tramite le iscrizioni e le immagini in esse utilizzate. La scelta delle immagini veniva delegata a dei monetari ("tresviri monetales"), giovani in attesa di diventare senatori. Questa carica, creata nel 289 a.C. e che durò fino alla metà del III secolo d.C., prevedeva inizialmente solo tre magistrati, ma il loro numero fu portato a quattro da Giulio Cesare verso la fine delle Repubblica.

Le immagini dei primi denari consistevano di solito nel busto di Roma sul dritto e di una divinità alla guida di una biga o di una quadriga al rovescio. Il nome del magistrato monetario non appariva, anche se a volte le monete presentavano dei segni di controllo, come lettere o simboli che potevano essere utilizzati per identificare chi era responsabile di una particolare moneta. Questi simboli, poi, iniziarono ad essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato ed in seguito si iniziarono ad utilizzare le monete per rappresentare scene della storia della famiglia dei monetari: ad esempio, Sesto Pompeio Fostulo rappresentò il suo avo Fostulo che assisteva Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il numero di questi casi si fece sempre più ampio e con riferimenti sempre più recenti, diventando strumento di promozione delle classi in lotta per il governo delle Repubblica.

Il "denario" fatto coniare da Giulio
Cesare nel 44 a.C. In un lato c'è
il suo volto e nell'altro Venere che
sulla mano destra porta una Nike
(la Vittoria).

Un salto di livello nella immagini utilizzate si ebbe con l'emissione da parte di Giulio Cesare di monete con il proprio ritratto, invece di quello di propri antenati. Questa impostazione venne adottata anche nel periodo imperiale, con l'immagine del capo del governo utilizzata per rafforzare l'impersonificazione nell'imperatore dello stato e delle sue regole. Successivamente, l'immagine dell'imperatore venne progressivamente associata a quella delle divinità. Ulteriore salto di livello si ebbe durante la campagna contro Pompeo, nella quale Cesare emise monete con anche immagini di Venere ed Enea, con l'obiettivo di avallare in questo modo l'ipotesi di una sua discendenza divina. Questa tendenza venne portata all'estremo da Commodo, che proclamò il suo stato divino emettendo nel 192 una moneta che raffigurava sul dritto il suo busto vestito con una pelle di leone, mentre sul rovescio un'iscrizione lo proclamava come la reincarnazione di Ercole. Ulteriore sviluppo dell'utilizzo della moneta si ebbe come legittimazione della successione al trono. Dal tempo di Augusto fino alla fine dell'impero, infatti, la rappresentazione di antenati venne sostituita da quella dei familiari e degli eredi dell'imperatore, rafforzando l'immagine pubblica di quelli che si voleva venissero considerati all'altezza dell'imperatore stesso.

Mentre il dritto continuava a riportare l'immagine dell'imperatore, si assistette ad una progressiva diversificazione del rovescio delle monete per uso propagandistico. L'incisione di frasi propagandistiche, già avvenuta al termine della repubblica, durante l'impero venne spesso utilizzata in concomitanza di eventi bellici, per sottolineare l'occupazione, liberazione o pacificazione di un territorio. Alcune di queste iscrizioni erano a volte estremamente di parte, come avvenne nel 244, quando si annunciò la conquista della pace con la Persia, anche se in realtà Roma era stata costretta dai persiani a pagare forti somme di denaro per ottenere la fine delle ostilità.

Tornando da Apollonia, dove aveva avuto la notizia dell'omicidio del prozio, verso Roma,  Ottaviano sbarca a Brindisi, dove riceve il benvenuto dalle legioni di Cesare, lì acquartierate in attesa della spedizione che voleva Cesare in Oriente, contro i Parti, e si impossessa dei circa 700 milioni di sesterzi (nel I secolo  d.C. sesterzio valeva circa 2 €) di denaro pubblico destinati alla guerra contro i Parti, che utilizza a questo punto per acquisire ulteriore favore tra i soldati e tra i veterani di Cesare stanziati in Campania. «Ritenendo che la cosa più importante fosse quella di vendicare la morte di suo zio e di difendere ciò che aveva fatto, appena tornò da Apollonia, decise di essere estremamente duro con Bruto e Cassio, i quali non se lo aspettavano, e quando questi capirono di essere in pericolo, fuggirono; [allora Ottaviano] li perseguì con un'azione legale atta a farli condannare per omicidio.» (Svetonio, Augustus, 10)

Monetazione imperiale - Anche se il denario restò l'elemento portante dell'economia romana, dalla sua introduzione nel 211 a.C. fino al termine della sua coniazione, alla metà del III secolo d.C., la purezza ed il peso della moneta andò lentamente, ma inesorabilmente riducendosi. Nel I sec. 1 denario equivaleva ad 8 € attuali.
Augusto, Denario, Hiberia: Colonia
Patricia , c. 18-16 a.C. AR (g 3,82;
mm 19; h 8); Testa nuda a d., Rv.
Capricorno verso s., tiene il globo
legato al timone e porta una
cornucopia sul dorso, da QUI.
Il fenomeno della svalutazione nell'economia romana era pervasivo e causato da una serie di fattori, quali la carenza di metallo prezioso, lo scarso rigore delle finanze statali e la presenza di una forte inflazione. Come detto in precedenza, il denario alla sua introduzione conteneva argento quasi puro con un peso di circa 4,5 grammi. Questi valori rimasero abbastanza stabili durante tutta la repubblica, ad eccezione dei periodi bellici. Ad esempio, i denari coniati da Marco Antonio durante la sua guerra con Ottaviano erano di diametro leggermente più piccolo e con un titolo considerevolmente inferiore: il dritto raffigurava una galea ed il nome di Antonio, mentre il rovescio presentava il nome della particolare legione per la quale la moneta era stata emessa; c'è da notare che queste monete rimasero in circolazione per più di 200 anni a causa della carenza di metallo prezioso.

Aureo del 27 a.C.,
col consolidamento
al potere di
Augusto da: QUI.
Riforma monetaria augustea - La prima riforma monetaria importante del periodo imperiale fu la Riforma monetaria di Augusto, che prevedeva dal 15 a.C. la coniazione delle monete in oro ed argento controllata direttamente dall'imperatore, mentre il Senato poteva decidere su delibera la coniazione dei valori minori
Denario con
Augusto da QUI.
Per quanto riguarda le monete d'oro, ci si basava sull'aureo (1/42 di libbra romana, 7,78 g), con il quaternione come multiplo (4 aurei) ed il quinario come sottomultiplo (1/2 aureo).
Per le monete d'argento, rimaneva il denario (1/84 di libbra, 3,90 g) ed il suo sottomultiplo quinario (1/2 denario). Per i valori minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).

Valori di epoca augustea (27 a.C. - 301 d.C.):

              Aureo  Quinario(oro)  Denario  Quinario(argento)  Sesterzio  Dupondio    Asse   Semisse  Quadrante

Aureo        1            2                   25                50                  100           200         400        800        1600

Quin.oro   1/2          1                   12 ½            25                    50           100         200         400         800

Denario    1/25       2/25                1                  2                      4               8            16          32           64

Quin.arg   1/50       1/25              1/2                 1                      2               4             8           16           32

Sesterzio  1/100     1/50              1/4                1/2                    1               2             4             8           16

Dupondio 1/200    1/100             1/8               1/4                   1/2              1             2             4            8

Asse        1/400    1/200             1/16              1/8                   1/4            1/2            1             2            4

Semis      1/800     1/400             1/32            1/16                   1/8            1/4            ½            1           2

Quadrante1/1600  1/800             1/64            1/32                  1/16           1/8           1/4           ½          1

Augusto elevò il censo senatoriale, portandolo prima da quattrocentomila a un milione di sesterzi nel 13 a.C. (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €) e infine a un milione e duecentomila sesterzi, e diede la differenza ai senatori che non ne avevano abbastanza. Inoltre, per diventare senatori bisognava essere ex-magistrati e l'assunzione di cariche magistratuali dipendeva dal beneplacito imperiale. L'imperatore poteva inoltre introdurre in senato persone da lui scelte con la procedura dell'adlectio (promozione a) e guidava la revisione delle liste dei senatori (lectio senatus). Sappiamo che nell'11 a.C. Augusto redasse una lista non solo delle sue proprietà, come se fosse un cittadino comune, ma anche una per i senatori. E sempre in quella circostanza, poiché si era accorto che i presenti alle assemblee senatoriali non erano spesso in molti, ordinò che i decreti di questo organo collegiale venissero votati anche quando i membri fossero stati meno di quattrocento.

Durante il principato di Augusto, i soldati ausiliari prestavano servizio per 25 anni, al termine del quale ricevevano un diploma militare che ne attestava il congedo (honesta missio), oltre ad un premio (in denaro o un appezzamento di terra, quasi fosse una forma di pensione dei giorni nostri), la cittadinanza romana ed il diritto a contrarre matrimonio (conubium). La paga (stipendium) per un cavaliere di ala si aggirava attorno ai 250 denari (pari a 1.000 sesterzi, e nel I sec un sesterzio valeva circa 2 €), mentre per un cavaliere di coorte equitata attorno ai 150/200 denari (pari a 600/800 sesterzi). Nel I sec. 1 denario equivaleva ad 8 € attuali.

Con la dinastia dei Flavi (Vespasiano, Tito e Domiziano), furono introdotte per prime le unità ausiliarie milliariae, ovvero composte da circa 1.000 armati (create ex novo oppure incrementandone gli armati da una preesistente quingenaria) in tutte le sue tipologie: dalle cohortes peditatae, a quelle equitatae fino alle alae di cavalleria (quest'ultima considerata l'élite dell'esercito romano). Le alae milliariae erano formate, a differenza di quelle quingenariae, da 24 turmae di 32 uomini per un totale di 768 cavalieri. Il comandante di un'ala, che in origini era un principe nativo appartenente alla tribù dell'unità ausiliaria, era stato sostituito con un praefectus alae dell'ordine Equestre, che poteva restare in carica per un periodo di 3 o 4 anni, al termine del quale poteva accedere all'ordine senatorio. La paga (stipendium) fu invece aumentata di un quarto, portando così il compenso annuo a 333 denari per un cavaliere d'ala e a 200/266 denari per un cavaliere di cohors equitata. Nel I sec. 1 denario equivaleva ad 8 € attuali.

Il 24 gennaio del 41, durante l'annuale celebrazione dei ludi palatini, un gruppo di pretoriani, guidati dai due tribuni Cherea e Cornelio Sabino, misero in atto il loro piano per assassinare il princeps. L'occasione era favorevole, in quanto i congiurati avrebbero potuto mescolarsi agli spettatori accorsi al teatro mobile tradizionalmente allestito di fronte al palazzo imperiale. Caligola giunse in teatro, si sedette e iniziò ad assistere allo spettacolo. Quando verso l'ora settima o forse la nona a seconda delle fonti pervenuteci, egli decise di andarsene e mentre percorreva un criptoportico che congiungeva il teatro al palazzo, si fermò a conversare con un gruppo di attori asiatici che avrebbero dovuto esibirsi a breve. Fu a questo punto che il principe incontrò infine la sorte temuta. Al primo tumulto, accorsero in suo aiuto i portatori della lettiga, armati di bastoni, poi i germani della sua guardia che uccisero alcuni dei suoi assassini e anche qualche senatore estraneo al delitto. Durante lo scontro il ventottenne Caligola fu pugnalato a morte. Qualche ora dopo persero la vita anche sua moglie Milonia Cesonia, pugnalata da un centurione appositamente inviato da Cherea, e la figlia piccola, Giulia Drusilla, che fu scaraventata contro un muro. Secondo Svetonio il principe fu colpito da oltre trenta pugnalate. Il suo cadavere fu portato negli Horti Lamiani, semi-bruciato e frettolosamente ricoperto di terra. Quando le sorelle tornarono dall'esilio, disseppellirono il corpo del fratello e posero le sue ceneri nel Mausoleo di Augusto. Al momento della diffusione della notizia che Caligola era morto nessuno osò festeggiare, poiché i più credevano che l'imperatore avesse messo in giro la voce per capire di chi potesse fidarsi. Quando questa comunicazione fu però confermata, non avendo i congiurati nominato alcun altro imperatore, il Senato si riunì e dichiarò di voler ripristinare la Repubblica, cancellando di fatto il governo dei precedenti principes a partire da Augusto. Cherea provò a convincere l'esercito ad appoggiare i padri coscritti, ma senza successo. Alla fine i senatori si resero conto di dover nominare un nuovo successore, che Lucio Annio Viniciano, importante senatore e cospiratore, indicò in Marco Vinicio, suo parente e marito di Giulia Livilla. Alla morte di Caligola, i membri della famiglia imperiale rimasti ancora in vita erano pochi. 

Claudio, Museo
archeologico di
Napoli, da QUI.
Tra questi vi era il cinquantenne Claudio che, appena saputo della morte del nipote Gaio, corse a nascondersi nelle sue stanze; rintracciato da un pretoriano mentre era nascosto dietro una tenda, fu condotto nel loro accampamento per essere  acclamato  imperatore dalle guardie pretoriane stesse mentre il Senato  era occupato tra Foro e Campidoglio. Claudio venne invitato a presentarsi davanti al popolo, ma prima decise di comprarsi la fedeltà della guardia pretoriana promettendo la somma di quindicimila sesterzi (un sesterzio equivaleva all'incirca a 2  € attuali) per ciascun pretoriano che gli prestasse giuramento. Fu così che Claudio venne elevato alla porpora imperiale e divenne il quarto imperatore di Roma. Il nuovo princeps  pose quindi il proprio veto a quanto il Senato aveva appena deliberato, e cioè condannare Caligola alla damnatio  memoriae. Poi, su invito del popolo romano, fece imprigionare e condannare a morte tutti i congiurati, compreso Cassio Cherea. Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (Lugdunum, 1º agosto 10 a.C. - Roma, 13 ottobre 54), appartenente alla dinastia giulio-claudia, ottenne così il Principato con la forza delle armi; fu quindi il primo il fra gli imperatori a comprarsi la fedeltà dei pretoriani e sarà il primo princeps a non essere  eletto dal  Senato

Asse coniato in occasione del
terzo consolato di  Vipsanio
Agrippa, sancito dalle iniziali
del Senato Consulto sul retro.
Da https://it.wikipedia.org/wiki/
Asse_(moneta)#/media/File:
Asse_Agrippa.jpg
.
I e II secolo: dai Giulio-Claudi agli Antonini - Nerone introduce, nel 65 d.C. una nuova riforma monetaria: l'aureo viene portato ad 1/42 di libbra (7,28 g), come racconta Plinio il Vecchio «Postea placuit XXXX signari ex auri libris, paulatimque principes inminuere pondus, et novisissime Nero ad XXXXV.» (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXIII,). L'aureo è quindi deprezzato da Nerone, passando nel tempo da un peso teorico di 1/40 di libbra (all'epoca di Cesare) a 1/45 con Nerone, con una svalutazione dell'11%.

Riguardo invece al denario sappiamo che, sotto Cesare ed Augusto, aveva un peso teorico di circa 1/84 di libbra, ridotto da Tiberio ad 1/85, fino a quando Nerone lo svaluta fino ad 1/96 (pari ad una riduzione del peso della lega del 12,5%). Contemporaneamente, oltre alla riduzione del suo peso, si riduce il titolo (% di argento presente nella lega), che passa dal 97-98% al 93,5%, con una riduzione complessiva del solo argento del 16,5% ca).

Sesterzio di Adriano, dupondio di Antonino Pio e
asse di Marco Aurelio, da https://it.wikipedia.org/
wiki/Asse_(moneta)#/media/File:Sestertius_
dupondius_as.jpg
Alla fine della dinastia del Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano), Domiziano annulla la riforma di Nerone, riportando le monete ai valori della riforma di Augusto, mentre nel periodo degli imperatori adottivi (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio), Traiano reintroduce i valori della riforma di Nerone.

III secolo - Nel 215, per opera dell'imperatore Caracalla si verifica un'altra riforma mentre il denario continuava il suo declinio dai dominati di Commodo e Settimio Severo. Contemporaneamente, oltre alla riduzione del suo peso, si era ridotto il suo titolo (% di argento presente nella lega), dal 97-98% dell'epoca augustea al 93,5% attuali, con una riduzione complessiva del solo argento del 16,5% ca.

Valeriano, imperatore nel
253,  su sesterzio. Di
Classical Numismatic Group,
Inc. QUI, da QUI.

Con Caracalla anche l'aureo venne svalutato di nuovo, portato ad 1/50 di libbra (6,54 g). Inoltre, sia per l'aureo che per il denario (ridotto ad avere meno del 50% di argento) sono introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione) ed il doppio denario (o antoniniano), anche se quest'ultimo non contenne mai più di 1,6 volte il contenuto d'argento del denario. Comunque, mentre l'aureo riusciva a mantenere una valutazione abbastanza stabile, l'antoniniano si svaluterà così come avveniva per il denario, fino a ridursi ad un contenuto d'argento del 2%.

Tra il 272 ed il 275, probabilmente nel 274, Aureliano riforma nuovamente il sistema monetario romano, eliminando la possibilità di coniazione locale delle monete minori per riportarle ad un livello qualitativo paragonabile a quello delle altre monete. L'aureo è portato inizialmente a 1/60 di libbra (5,54 g), ma poi il suo valore è fissato ad 1/50 di libbra (6,50 g).

Per l'antoniniano, infine, si fissa un peso di 3,90 g ed un titolo di 20 parti di rame ed uno d'argento, rapporto indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI in Latino o KA in Greco.

Moneta dell'usurpatore Magnenzio
(350-353) con al rovescio il
crismon Chi Rho.

Durante la tetrarchia - A seguito della riforma di Diocleziano, la monetazione romana cambia radicalmente. Dato che il governo introdotto da Diocleziano si basava su una tetrarchia, con la suddivisione dell'impero in due territori assegnati a due diversi imperatori, gli Augusti e con due Cesari che erano anche i successori, a supporto dei due reggenti, le monete iniziano a non personificare più un singolo reggente, ma a dare un'immagine idealizzata dell'imperatore sul dritto, con il rovescio che celebrava tipicamente la gloria di Roma e la sua potenza militare. Anche dopo l'adozione del cristianesimo come religione di Stato, quest'impostazione rimane abbastanza invariata: solo in poche eccezioni vengono utilizzate immagini cristiane come il "chi-rho", monogramma greco per il nome Gesù Cristo.
Moneta del 305-307 con Flavio
Valerio Severo, Cesare dell'Augusto
Costanzo Cloro, da: QUI.
Nel 300 è emanato un editto (l'Editto sui prezzi massimi) che fissa i prezzi massimi delle merci, con l'intento di calmierarli: i prezzi sono espressi in denarii, anche se questi non erano ormai più in circolazione. L'aureo torna a pesare di 1/60 di libbra e si introduce una moneta in argento, detta argenteo, con un peso pari a 1/96 di libbra. Oltre ad un antoniniano con un peso di 3,90 g, è introdotta anche una moneta in bronzo, il follis, con un peso di circa 10 g.

Valori di epoca dioclezianea (301 d.C.):

                Solido           Argenteo        Nummo        Radiata      Laureata      Denario

Solidus        1                  10                    40              200            500           1000

Argenteo  1/10                 1                      4                20              50             100

Nummo    1/40               1/4                    1                 5              12 ½            25

Radiata    1/200             1/20                 1/5               1               2 ½               5

Laureata  1/500             1/50                2/25             2/5              1                  2

Denario   1/1000          1/100               1/25             1/5             1/2                1

Solidus aureo di Costantino
  battuto a gr. 4,54. 
Ultima riforma monetaria, di Costantino il Grande - 
Nel  310  Costantino, rifacendosi al sistema bimetallico di Augusto, introduce il   
Moneta del 309 con Costantino
e il Sol invictus.
solido d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, e la siliqua d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarense, con un valore doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solido. 

Moneta del 327 con l'imperatore
Costantino e il monogramma di
Cristo sull'asta dello stendardo, da QUI.
Per quanto riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua.

Questo sistema monetario durò fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente del 476.


Valori monetali dal 337 al 476 d.C.:

                   Solido          Miliarense           Siliqua             Follis              Nummo

Solido            1                    12                     24                180                 7200

Miliarense     1/12                 1                       2                  15                   600

Siliqua           1/24               1/2                     1                  7½                   300

Follis             1/180             1/15                  2/15               1                      40

Nummo         1/7200         1/600                 1/300            1/40                    1

Moneta in bronzo con l'effige
dell'imperatore, dal 363, Giuliano,
di Classical Numismatic Group, Inc. QUI
CC BY-SA 3.0, QUI.

Solidus di Flavio Giulio Valente,
imperatore d'Oriente dal 364,
da https://it.wikipedia.org/wiki/
Valente_(imperatore_romano)
#/media/File:Solidus_Valens_-
_transparent_background.png
Monetazione provinciale - Nell'impero romano alcune città conservarono il diritto di emettere monete proprie. Queste monete erano essenzialmente indirizzate ai commerci interni di una città o di un'area limitata. 

Solidus di Valentiniano
I, imperatore nel 364.
 (Cibalae, Vinkovci in
Croazia, 3/07/321 -
Brigetio, 17/11/375).
Cristiano, abbandonò
il paganesimo di
Giuliano l'Apostata.
Di Siren-Com-Opera
propria, CC BY-SA
3.0: QUI.
Di conseguenza le emissioni furono molto più limitate e meno regolari. Inoltre i tipi utilizzati riflettevano temi locali. Questa monetazione ci permette di conoscere particolari della vita del mondo romano altrimenti poco conosciuti.


Solidus di Flavio Graziano,
co-imperatore d'Occidente
dal 364, immagine di
Rasiel Suarez, Opera propria
CC BY-SA 3.0 https://commons
.wikimedia.org/w/index.php?
curid=15339252


Solidus dell'usurpatore del 383,
 Magno Massimo: Classical
Numismatic Group, Inc. QUI
CC BY-SA 3.0: QUI.

Moneta del 450 circa
col monogramma di
Ricimero.






Da https://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/monete.htm

Prima della coniazione vera e propria, la diffusione della moneta a Roma era affidata a lingotti di bronzo il cui valore era quello del metallo stesso e dipendeva dal peso.

La nascita della coniazione della moneta, sempre in bronzo, avviene alla fine del IV sec. a.C., su iniziativa e responsabilità statale e recanti, sul dritto e sul rovescio, i segni di riconoscimento della fonderia pubblica e del valore di scambio, ossia tutti i requisiti essenziali della moneta.

Queste monete, pesanti e scomode, avevano un valore intrinseco insufficiente rispetto alla mole degli scambi commerciali. Anche se l’uso della moneta ridusse progressivamente il baratto fino a farlo pressoché scomparire e contribuì fortemente allo sviluppo della città, della economia e della potenza romana.

Nel 217 a.C., durante la seconda guerra punica, con la legge Flaminia si effettuò un alleggerimento del peso dimezzandolo, e nell’anno 89 a. C. con la legge Papiria, si procedette ad un ulteriore dimezzamento. I vari alleggerimenti nel peso del metallo non toccarono però il potere nominale di scambio, che rimase invariato, e così il valore reale delle monete si fece minimo rispetto a quello nominale, avviandosi in pratica ad acquistare soprattutto un valore convenzionale o legale attribuito in forza di legge; questo fu il primo clamoroso esempio di svalutazione monetaria che si sarebbe ripetuto poi molte altre volte nel corso della storia romana.

Il sistema basato sul bronzo andava bene per uso interno ma era inadatto al commercio con l’oriente e la Magna Grecia, dove occorreva moneta di valore intrinseco reale. Ed allora Roma si decise a coniare monete in argento somiglianti alla dramma greca e poi, nel 269 a.C. iniziò una monetazione argentea propria basandola sul denario: un denario equivaleva a due quinari oppure a quattro sesterzi oppure a 10 Assi.

Inizialmente si scelse l'argento perché si riteneva che le monete d'oro racchiudessero un valore troppo alto in un volume troppo piccolo. Non a caso i romani esigevano che i popoli vinti pagassero il bottino di guerra in monete d'argento ed era considerato un trattamento di favore autorizzarli a usare monete d'oro.

L'uso delle monete d'oro s'impose solo dopo la discesa di Annibale in Italia, per pagare i militari, e soprattutto dopo le conquiste dei paesi orientali, dove questa moneta era in vigore da secoli.

Denari, aurei e sesterzi per i Romani divennero anche strumento di propaganda politica: le immagini di conio riportavano le effigi degli imperatori, ne celebravano le imprese e le qualità.

Fino al III sec. d.C. la moneta più diffusa nel mondo romano fu il sesterzio (prima in argento poi in bronzo), il cui valore era abbastanza basso per non aver bisogno di sottomultipli, ma anche abbastanza elevato da rivelarsi comodo nelle valutazioni dei cambi correnti.

Oggi è molto difficile stimare in euro il valore di un sesterzio, anche perché quello che conta è in ultima istanza il potere d'acquisto effettivo di una moneta, che sicuramente cambiò molto nel corso del millennio della storia romana.

P.es. ai tempi di Catilina (63 a.C.) la produzione di metalli preziosi era del tutto insufficiente rispetto alla ricchezza reale, sicché il prezzo del denaro era alto. Conseguenza inevitabile di ciò fu l'insolvenza dei debiti contratti. I piccoli e medi proprietari terrieri finirono sul lastrico, determinando la concentrazione latifondistica della terra.

Sappiamo che nel 161 a.C. a Pompei la spesa prevista per un pranzo comune era di 10 sesterzi. Ma quanto valeva un sesterzio?

Ottaviano Augusto nel 23 a.C. riordinò il sistema monetario anche per farlo corrispondere alla vastità e alla ricchezza dell’impero, fondandolo sull’oro e sull’argento e cercando di riportare il valore intrinseco delle monete vicino al loro valore nominale.

Nel I sec. d.C. un aureo (moneta d'oro) era corrispondente a 25 denari (moneta d'argento), 100 sesterzi (moneta di bronzo), 400 assi (moneta di bronzo). Quindi un denario corrispondeva a 4 sesterzi e un sesterzio a 4 assi.

Con un asse si potevano acquistare 542 grammi di grano, due chili di lupini, un quarto di vino comune, mezzo chilo di pane, o entrare alle terme. Quindi un asse poteva valere all'incirca 0,5 € e un sesterzio circa 2 €.

Oltre due secoli dopo (fine del III secolo d.C.) per comprare 6,5 chili di grano occorrevano 240 sesterzi (ce ne volevano 3 nel I secolo d.C.). Quindi a causa dell'inflazione il sesterzio si era svalutato di 80 volte: approssimativamente il suo valore potrebbe essere calcolato a poco più di 2 centesimi di €.

Crasso, uno degli uomini più ricchi di fine Repubblica, aveva un patrimonio stimato in 192 milioni di sesterzi, e il suo "collega" Giulio Cesare, nei nove anni di campagna in Gallia, fece oltre un milione di prigionieri che vennero venduti come schiavi a Roma ed ai popoli vicini. I tributi imposti ai popoli non rendevano nemmeno una minima parte di quello che si ricavava dalla vendita di schiavi. Se pensiamo che a tutta la Gallia Cesare impose un tributo annuo di 40 milioni di sesterzi, che in nove anni portò a Roma 360 milioni, quanto ricavò dalla vendita degli schiavi, considerando che il prezzo di ognuno di loro si aggirava sui 1.200-2.500 sesterzi?

La borghesia più bassa, esclusa dal potere pubblico, doveva avere almeno 5.000 sesterzi di rendita annuale, mentre quella dell'ordine equestre partiva da un censo minimo di 400.000 sesterzi: meno della metà rispetto al milione di sesterzi che come minimo doveva avere un senatore. Un cittadino poteva rivolgersi al Senato di Roma soltanto per cause dal valore maggiore di 15.000 sesterzi.

Ma nella Roma di Traiano 20.000 sesterzi di rendita erano appena sufficienti per le necessità vitali del piccolo borghese. Il poeta Giovenale limita a 400.000 sesterzi il capitale di un uomo equilibrato che sappia accontentarsi di 20.000 sesterzi di rendita, al di sotto della quale regnava l'indigenza.

Plinio il Giovane possedeva un capitale non inferiore ai venti milioni di sesterzi, eppure si dichiarava di modicae facultates e costretto a vivere di vita frugale.

Ecco un brano interessante di Petronio (morto nel 66 d.C.), tratto dai Saturnali o Satyricon LXXVI, in cui il liberto Trimalcione diventa ricco: "Mi venne voglia di mettermi nel commercio. Per non farvela troppo lunga, feci costruire cinque navi, le riempii di vino – e allora si pagava a peso d’oro – e le spedii a Roma. Potresti pensare che l’avessi ordinato io: tutte le navi naufragarono; ed è la realtà, non è una storia. In un solo giorno Nettuno si era divorato 30 milioni di sesterzi. Pensate che mi sia arreso? Per Ercole, questi fatti non mi toccarono nemmeno, come se non fosse successo nulla. Ne costruii delle altre, più grandi, più robuste e più belle, perché nessuno dicesse che io non sono un uomo coraggioso. Sai, una grande nave ha una grande robustezza. Le riempii di nuovo di vino, lardo, fave, profumi e schiavi. A questo punto Fortunata fece un bel gesto: vendette infatti tutti i suoi ori ed i suoi vestiti e mise nelle mie mani 100 monete d’oro. Questo fu lievito per il mio patrimonio. Si fa presto quello che gli dei vogliono. Con un solo viaggio mi tirai su 100 milioni di sesterzi. Subito mi sono ricomprato tutti i terreni che erano appartenuti al mio padrone. Mi costruisco una casa, compro mercati di schiavi e giumenti; tutto quello che toccavo cresceva come un favo di miele. Quando presi a possedere io più di quanto tutta la mia patria messa insieme possiede, passai la mano: mi ritirai dal commercio ed iniziai a fare prestiti ai liberti".

I prestiti ai liberti spesso erano usurai, al punto che per frenare questa pratica, assai diffusa, già nell’anno 357 a. C. con la legge Menenia venne stabilito un interesse massimo annuo dell’8%.

A partire dal III secolo d.C. l’economia e la politica romane incontrarono molti eventi negativi, determinati soprattutto dall'aumento delle spese imperiali e soprattutto militari: il che portò a svalutazione e inflazione dei prezzi, con conseguente scomparsa delle monete in metallo pregiato. Si cercò rimedio aumentando la produzione dell’oro e imponendo il blocco dei prezzi come fece Diocleziano, ma inutilmente, perché le monete persero inesorabilmente gran parte del loro valore reale conservando solo quello nominale stabilito dalla legge.

L’imperatore Costantino cercò, agli inizi del III secolo, di riorganizzare il sistema monetario dando maggiore importanza all’oro con una prestigiosa moneta: il solido, che durò a Roma fino al V secolo e si protrasse molto nell’oriente bizantino

Le monete in argento e in bronzo di Costantino degenerarono invece in pezzi sempre più piccoli e leggeri arrivando infine nel V secolo a valori minimi.

Fonti: 

La moneta nell'immaginario latino (pdf)

Vicino ed Estremo oriente: forme dello scambio monetale (pdf)

L'eredità di Tolomeo e le monete di Silla (pdf)

cfr Riforme monetarie

R. Bartoloni, Monete di Roma imperiale, Mondadori, Milano 1996

G. G. Belloni, La moneta romana. Società politica cultura, La Nuova Italia, Firenze 1993

G. Mazzini, Monete imperiali romane, Milano 1957-58

M. North, La storia del denaro, ed. Piemme, Casale Monferrato 1998

M. Crawford, La moneta in Grecia e a Roma, 1982


Peso in bronzo col
nome di Teoderico,
Re degli Ostrogoti e
console dell'Imperatore
Romano (in Oriente)
come Re d'Italia dal
493.



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