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venerdì 19 dicembre 2014

Economia Politica 4° - 1973-1990: nuovo capitalismo, crisi egemonia USA, Reagan, fine del comunismo. Video+trascr.

Gli argomenti trattati in questo video.
Per progettare il futuro, oltre a comprendere i moventi in gioco nel presente, è determinante avere la coscienza dei motivi che lo hanno determinato.

In questa parte si analizza il periodo che ripresenta, dopo il 1929, uno stato di crisi economica che riguarda tutta l'economia capitalistica.
Negli anno settanta del 1900 gli Stati Uniti d'America perdono la posizione di potere finanziario controllato dallo stato e la grande finanza privata scorrazza in tutto il mondo "libero" ri-investendo eurodollari e petroldollari esentasse.
Le teorie keynesiane in quel tempo subiscono un rapido declino, sotto i colpi delle critiche e delle accuse alla dottrina keynesiana stessa, di aver provocato stagflazione, rivolte dagli economisti monetaristi (convinti, sulla base dell'equazione di Fisher, che fosse il volume di moneta a determinare i prezzi) e neoclassici (tra cui il più influente fu Milton Friedman).
Le multinazionali "made in USA" entrano come arieti nell'economia europea scavalcando il protezionismo dei governi democratici impegnati a garantire il Welfare con il debito pubblico. L'informatica, le nuove tecnologie e la nuova mobilità consentono di frazionare le fasi di produzione industriale nelle zone più arretrate del pianeta dove non si deve garantire un equo costo del lavoro e un'assistenza sociale. Il modello asiatico soddisfa quindi la produzione industriale con alti utili per le imprese che non investono più nella produzione ma nelle speculazioni finanziarie. La produzione, distribuzione e commercio di merci, che occupava una larga parte della popolazione europea, viene così a mancare. La nuova figura imprenditoriale è lo "yuppie" e la politica di Ronald Reagan finisce per trasformare gli USA da primo creditore del mondo a primo debitore.

È il trionfo della visione economica di Milton Friedman.
Milton Friedman nacque in una famiglia ebrea poverissima, emigrata dall'Europa orientale, (Austria-Ungheria, attualmente Ucraina), divenne un liberista convinto. È stato più volte definito l'anti-Keynes, per il suo rifiuto verso qualsiasi intervento dello Stato nell'economia ed il suo sostegno convinto a favore del libero mercato e della politica del laissez-faire.
I suoi maggiori contributi alla teoria economica riguardano gli studi
- sulla teoria quantitativa della moneta,
- sulla teoria del consumo
- sull'elaborazione del concetto di tasso naturale di disoccupazione 
- e sul ruolo e l'inefficacia della curva di Phillips nel lungo periodo
Secondo Friedman, l'inflazione è solo un fenomeno monetario e non è utile nel lungo periodo per ridurre la disoccupazione. La sua regola di politica monetaria, incentrata nel conseguimento del controllo della crescita della massa monetaria, è stata utilizzata dalla Federal Reserve negli Stati Uniti ed anche dalla Banca centrale europea (BCE).
Autore di molti libri tra i quali menzioniamo “Capitalismo e libertà”, “Liberi di scegliere” e “Due persone fortunate”, Friedman si dimostra un ottimo divulgatore ed uno dei più insigni rappresentanti del pensiero liberista in economia del nostro tempo.
Le sue teorie hanno esercitato una forte influenza sulle scelte del governo britannico di Margaret Thatcher e di quello statunitense di Ronald Reagan, degli anni ottanta. Le sue idee sono ancora oggi oggetto di accesi dibattiti: ad esempio, rigettò la stakeholder view e la responsabilità sociale d'impresa, sul piano economico ed etico, sostenendo che i manager sono agenti per conto terzi e dipendenti dei proprietari-azionisti, e che devono agire nell'interesse esclusivo di questi ultimi (utilizzare il denaro degli azionisti per risolvere problemi sociali, significa fare della beneficenza con i soldi degli altri, senza averne il permesso e tassarli senza dare un corrispondente servizio, violando il principio del «no taxation without representation»).
Sono stati oggetto di controversia i suoi rapporti con il regime dittatoriale di Augusto Pinochet in Cile. Pinochet intraprese una serie di riforme economiche di stampo liberista che seguivano gli orientamenti di Friedman. Diversi economisti suoi allievi consigliarono il generale nell'attuazione di queste riforme, e lo stesso Friedman nel 1975 indirizzò a Pinochet una lettera raccomandandogli un programma economico conforme alle proprie teorie.
Per questa sua collaborazione con Pinochet, Milton Friedman è stato spesso attaccato, come avvenuto svariate volte anche a José Piñera, altro economista liberista autore della riforma delle pensioni in Cile.
Il 17 ottobre 1988 è stato insignito della Medaglia presidenziale della libertà, la prestigiosa onorificenza statunitense, dal Presidente Ronald Reagan, convinto seguace neoliberista.
Nel 2005, Milton Friedman è stato il primo firmatario di un appello sottoscritto da oltre 500 economisti statunitensi per denunciare gli enormi costi (7,7 miliardi di dollari all'anno) del proibizionismo sulla marijuana. Considerava questa legge un sussidio virtuale del governo al crimine organizzato.
È morto per infarto cardiaco il 16 novembre 2006 a San Francisco all'età di 94 anni.

Per il VIDEO Economia Politica 4° - La crisi
degli anni '70 e il processo di mondializzazione,
direttamente su You Tube, clicca QUI


Allego la trascrizione della lezione-video tenuta dal docente di Storia contemporanea, prof. Francesco Barbagallo, dell'università Federico II di Napoli

Buongiorno, vediamo la lezione 17, la crisi degli anni '70 e il processo di mondializzazione. I punti fondamentali di questa lezione sono:
- Il nuovo potere del capitale finanziario
- Il processo di transnazionalizzazione dell'economia
- La crisi dell'egemonia mondiale degli Stati Uniti
- L'era reaganiana tra ideologia neoliberista, indebitamento pubblico e nuovo governo mondiale dell'economia
- La grande espansione economica del Giappone
- La fine del comunismo
- Violenza diffusa e carenza di prospettive alla fine del secolo.
Una nuova fase storica nel secondo '900 si apre, come abbiamo visto nella lezione precedente, nel 1973 con la fine del sistema dei cambi fissi delle valute, delle monete. I cambi fissi erano definiti dalle banche centrali che erano a loro volta espressione dei governi politici
Era questo il sistema costituito a Bretton Woods, ne abbiamo parlato nella lezione precedente. 
Questo sistema, cosiddetto di Bretton Woods, viene sostituito da un nuovo sistema che ora è caratterizzato dai cambi non più fissi, non più determinati dalle autorità politiche e monetarie, ma dai cambi cosiddetti flessibili delle monete. I cambi flessibili sono determinati non più dagli Stati e dalle banche centrali, ma sono volta a volta stabiliti dal livello degli scambi che si determinano nei mercati; quindi i cambi flessibili sono stabiliti dagli scambi di mercato.

Questo è il riconoscimento della sconfitta politica degli Stati, a partire dagli Stati Uniti, dalla maggiore potenza mondiale. Sconfitta politica degli Stati nei confronti del potere economico dell'alta finanza, quella alta finanza che era stata emarginata, a Bretton Woods, dal presidente Roosevelt, dal ministro del tesoro americano Morgentau e dalla linea di politica economica portata avanti da Keynes.

Il nuovo sistema dei cambi flessibili, aumentò i rischi delle attività industriali e commerciali delle grandi imprese e diede un forte slancio alla espansione finanziaria. I governi e le banche centrali del cosiddetto gruppo dei 10, dei 10 paesi più industrializzati del mondo, cercarono di controllare i mercati, innanzitutto dell'euro-dollaro. Banche private e gruppi finanziari risposero, a questi tentativi di controllo, trasferendo le loro attività nei più distanti mercati monetari offshore, nei paradisi fiscali, in quei piccoli stati che non imponevano controlli fiscali, stati minuscoli sparsi un po' nel mondo, alieni dal controllare imprese e capitali, sia in entrata che in uscita.

Con il sistema dei cambi flessibili, i governi dei maggiori paesi capitalistici perdevano il controllo sulla produzione e perdevano la regolazione del denaro.

Il potere dell'alta finanza, tornava a prevalere sul potere degli Stati, della politica. Come in altre fasi storiche dell'età moderna, la grande espansione della produzione e del commercio mondiali aveva accresciuto la concorrenza e ridotto i profitti. Quindi non era più conveniente, alla conclusione del grande ciclo di sviluppo economico del venticinquennio precedente, non era più conveniente reinvestire i capitali nella produzione di merci e nel commercio. A poco servirono quindi le politiche monetarie degli Stati Uniti, volte negli anni '70 a stimolare di nuovo la creazione di impianti industriali e la diffusione di imprese commerciali.

I dollari emessi dalla Federal Reserve Bank Americana, solo in parte promuovevano imprese produttive; perlopiù questi dollari si trasformavano, come abbiamo visto nella lezione precedente, in euro-dollari e poi in cosiddetti petrol-dollari, i dollari acquisiti dai paesi produttori di petrolio, con la vendita appunto del petrolio.

Nel 1973 era crollato infatti un altro pilastro fondamentale dell'età dell'oro, il basso prezzo del petrolio, il petrolio a basso costo.

In coincidenza con la guerra dello Yom Kippur, tra Israele e Egitto, come abbiamo visto, i paesi arabi produttori di petrolio riuniti nell'OPEC decisero di aumentare il prezzo di questa principale fonte di energia, essenziale per la produzione industriale, per i servizi di comunicazione, per il riscaldamento dei paesi avanzati. In pochi mesi il prezzo del petrolio aumentò di quattro volte e generò 80 milioni di cosiddetti petrol-dollari.

Questi petrol-dollari, destinati al riciclaggio da parte delle banche, accrescevano l'importanza dei mercati finanziari e delle istituzioni che vi operavano.
I petrol-dollari costituivano le enormi masse di valuta di moneta acquisite dai paesi arabi in seguito a questo aumento, ed erano depositati come già gli euro dollari abbiamo visto, nella city di Londra, dove si rendevano disponibili per le più redditizie operazioni finanziarie.

Da un lato quindi, l'accumulazione di dollari in depositi che nessun governo controllava, suscitò pressioni crescenti perché i governi manovrassero i cambi delle proprie monete e i tassi di interesse, in modo da influenzare i movimenti di questa massa di monete tenuta nei mercati offshore, fuori controllo. 

Dall'altro lato, le continue variazioni nei cambi delle monete, che oramai erano flessibili, moltiplicarono le opportunità a disposizione dei capitali depositati nei mercati finanziari e monetari offshore e la loro possibilità di espandersi, grazie alle transazioni e alle speculazioni in valute.

Pertanto già alla metà degli anni '70, il volume delle transazioni degli scambi puramente monetari che si realizzavano nei mercati fuori controllo, nei mercati offshore, queste transazioni, questi scambi, superavano di molte volte il valore del commercio mondiale: le operazioni finanziarie erano più diffuse ormai delle operazioni commerciali.

Da allora in poi, l'espansione finanziaria sarà inarrestabile e anche negli anni '80 sembrerà costituire la tendenza predominante dei processi di accumulazione di capitale su scala mondiale.

Espansioni finanziarie di questo genere, si erano presentate e ripresentate a partire dalla seconda metà del XIV secolo, del '300. Prima con le città italiane dove si erano sviluppate le prime forme di capitalismo: Genova, Venezia, Firenze; poi con l'Olanda delle Province Unite, quindi con la Gran Bretagna, l'Impero Britannico. Secondo il grande storico Fernand Braudel e più recentemente nella ricostruzione del sociologo (ed economista) Giovanni Arrighi, queste espansioni finanziarie vengono dopo le principali espansioni del commercio e della produzione mondiali e costituiscono, queste espansioni finanziarie, la reazione caratteristica del capitale all'intensificarsi della concorrenza.

Naturalmente le dimensioni e il livello tecnico dell'attuale fase di espansione finanziaria, sono ben maggiori di quelle precedenti, dell'età moderna, '300, '500, '600, '700, '800, ma il tipo dei fenomeni è comparabile tra di loro.

Tra gli anni '60 e '70 le imprese europee, avvantaggiate da un forte sostegno statale, accentuarono la loro capacità di concorrenza competitiva con le grandi imprese statunitensi per la conquista delle risorse e dei mercati mondiali.

Tra il 1970 e il 1978, il valore complessivo degli investimenti statunitensi all'estero, aumentò di più del doppio, passò da 78 milioni (o miliardi?) di dollari a 168 miliardi di dollari. Gli investimenti esteri non statunitensi, prevalentemente europei, aumentarono di più del triplo, da 72 a 232 miliardi di dollari. Questo intenso processo di transnazionalizzazione del capitale avveniva in concomitanza con altri importanti fenomeni: forte aumento dei prezzi delle materie prime che si materializzò nel primo shock petrolifero, primo aumento forte del prezzo del petrolio e nella esplosione dei salari, del livello dei salari, che si realizzò tra il 1968 e il 1973.

Ora, a differenza del decenni del ventennio precedente, la crescita degli investimenti non portava alla crescita del commercio e della produzione mondiali, ma determinava, questa crescita degli investimenti, una forte inflazione su scala mondiale, un forte aumento dei prezzi e anche una massiccia fuga di capitali verso i mercati monetari cosiddetti offshore, fuori controllo. Questo effetto perverso della espansione del potere d'acquisto mondiale, fu causato dalla contraddizione ormai evidente tra il fondamento nazionale del potere mondiale degli Stati Uniti d'America e il carattere transnazionale della espansione capitalistica delle grandi imprese statunitensi, le imprese cosiddette multinazionali.

Fu proprio l'Europa occidentale a diventare il terreno più fertile per l'espansione transnazionale delle grandi imprese statunitensi, le cui filiali, le cui fabbriche, imprese, nei paesi europei, furono trattate come grandi imprese europee, interne al mercato comune europeo.

Questo, su richiesta del governo americano in nome del piano Marshall, del riarmo, degli aiuti forniti all'Europa nei decenni precedenti e quindi una possibilità per queste imprese di essere  concorrenti con le imprese nazionali dei diversi paesi europei e all'interno del mercato comune europeo. Il regime dei cambi flessibili, con la sua instabilità, aumentò i rischi e le incertezze per le finanze degli Stati che avevano le economie interne esposte alla domanda estera.

Per questo i governi del cosiddetto terzo mondo, dei paesi arretrati e in particolare quei paesi che avevano monoculture da esportazioni, producevano soltanto una cultura e la esportavano, per esempio la canna da zucchero, questi paesi furono colpiti duramente dal nuovo regime monetario. La maggior parte di questi paesi non disponeva delle risorse finanziarie necessarie per coprirsi, per difendersi dai rischi delle fluttuazioni delle monete. Ma nemmeno gli Stati più forti erano più in grado di regolamentare i mercati finanziari.

Già negli anni '60, le banche di New York avevano reagito ai tentativi dell'amministrazione Kennedy, del presidente Kennedy, di regolamentare le loro operazioni all'estero e la risposta era stata proprio quella del trasferimento di queste operazioni finanziarie statunitensi sul mercato dell'euro-dollaro, privo di controlli, nella City di Londra, come abbiamo visto. Così, alla metà degli anni '70 le banche che controllavano il mercato dell'euro-dollaro risposero ai blandi, ai deboli tentativi di controllo del gruppo dei 10, dei 10 paesi più industrializzati, trasferendo ancora più lontano le proprie attività finanziarie, verso mercato offshore situati in minuscoli stati, spesso si trattava di ex colonie britanniche che raggiungevano in quegli anni l'indipendenza. In altri termini, la sostituzione dei cambi del regime dei cambi fissi con i cambi flessibili, accentuò la tendenza degli stati più potenti verso la perdita del controllo sulla produzione e la regolamentazione del denaro mondiale.

Le politiche monetarie statunitensi degli anni '70, cercavano di indurre il capitale a sostenere l'espansione materiale dell'economia mondiale, nonostante l'aumento dei costi e dei rischi per il capitale delle imprese. Ma soltanto una parte della massa di dollari creata dalle autorità monetarie statunitensi fu usata per creare nuovi impianti produttivi; la gran parte di questa massa monetaria di dollari, fu trasformata in petrol-dollari e euro-doollari che si riprodussero più volte e riemersero nell'economia mondiale, come rivali: i petrol dollari e gli eurodollari rivali dei dollari emessi dal governo americano attraverso la Federal Reserve Bank.

La crisi dell'ordine monetario aveva accompagnato, lungo gli anni '70, la crisi dell'egemonia mondiale degli Stati Uniti, sul piano strategico, militare, ideologico.

Guerre e rivoluzioni degli anni '70, comporranno, costituiranno un periodo di forti conflitti guerreggiati, che porteranno al massimo la tensione tra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica, e faranno per questo parlare di una seconda guerra fredda. La drammatica sconfitta americana nella guerra del Vietnam, aprirà, alla metà degli anni '70, una lacerazione profonda nella coscienza nazionale degli Stati Uniti d'America.

Si svilupperanno contemporaneamente la rivoluzione in Portogallo, nel 1974, le guerre di liberazione nelle ex colonie portoghesi dell'Angola e del Mozambico, dove giungeranno addirittura contingenti armati dalla Cuba di Fidel Castro. L'Unione Sovietica intanto, espandeva la sua influenza nel cosiddetto corno d'Africa, prima con il regime di Siad Barre in Somalia, poi con il regime di Menghistu Hailè Mariàm in Etiopia, dopo che era stato rovesciato il vecchio imperatore Hailé Selassié, sempre nel 1974.

Ma anche in altre aree del continente africano si costituivano regimi che si dichiaravano socialisti e si schieravano dalla parte dell'Unione Sovietica: dal Benin ex Dahomei al Madagascar, allo Zimbabwe, ex Rhodesia del Sud.
Nel 1979 una rivoluzione abbatteva il regime del presidente Somoza in Nicaragua, nell'America centrale, sostituendolo con un governo cosiddetto sandinista, da un eroe del Nicaragua del XIX secolo e questo regime sandinista era poco gradito dagli Stati Uniti.
Contemporaneamente una rivoluzione islamica destabilizzava un bastione dell'influenza americana nella zona strategicamente ed economicamente decisiva del Golfo Persico e dei paesi petroliferi.
L'ayatollah Khomeyni si insediava al posto dell'esautorato scià di Persia e nel nome del fondamentalismo islamico, di posizioni radicali, religiose, islamiche, l'ayatollah Khomeyni avviava una politica fortemente, radicalmente ostile agli Stati Uniti d'America.
L'invasione sovietica dell'Afghanistan avrebbe suggellato, nel 1980, un periodo di gravi difficoltà e di arretramento sullo scacchiere mondiale, della potenza americana, ma avrebbe segnato contemporaneamente l'inizio della fine della potenza sovietica.

Sul finire degli anni '70 questa pesante situazione strategica acuiva la crisi della potenza egemone, gli Stati Uniti, che già attraversava difficoltà gravi sul terreno economico e finanziario.

Si giunse così alla resa dei conti tra il governo degli Stati Uniti e la grande finanza internazionale.

La presidenza di Jimmy Carter si concluse con una nuova memorabile alleanza tra il potere dello Stato e il potere del capitale finanziario. L'obiettivo era, per gli Stati Uniti, la riconquista della supremazia nel conflitto strategico ed economico mondiale.

Le politiche monetarie espansive adottate dagli Stati Uniti nel periodo del grande sviluppo furono sostituite da politiche fortemente restrittive.
Il risultato, come ha scritto Giovanni Arrighi, fu la Belle Époque dell'era reaganiana.
Il capitale finanziario transnazionale aveva eliminato gli ultimi tentativi di controllo statale.
La programmazione nazionale degli Stati era sostituita dalla pianificazione internazionale delle grandi imprese, non c'erano più ostacoli al processo di completa finanziarizzazione dell'economia, alla sua trasformazione in economia di carta con i suoi effetti devastanti di acuta polarizzazione sociale: sempre più ricchi, sempre più poveri.

La produzione e il commercio forniscono lavori diversificati a masse di persone, l'intermediazione finanziaria invece ripartisce alti profitti ma soltanto all'interno di una ristrettissima élite, il lavoro diventa poco, scarso.

L'inasprimento delle politiche monetarie degli Stati Uniti provocò la riduzione della domanda e dell'offerta dei paesi del terzo mondo, che si trovarono alla bancarotta per l'immediato rarefarsi dei capitali e dei prestiti che in precedenza erano stati largamente erogati a questi paesi.

Tra il 1980 e il 1988 i prezzi reali delle esportazioni prodotte nel sud del mondo diminuirono di circa il 40%, i prezzi del petrolio calarono del 50%, invece i tassi di interesse sui prestiti quasi raddoppiarono, innalzandosi dall'11 al 20%. In pochi anni i debiti dei paesi latino-americani raddoppiarono. A distanza di un decennio non erano più i banchieri del primo mondo, degli Stati Uniti, dell'Europa occidentale, a offrire capitali sovrabbondanti ai paesi del terzo mondo in prestito ma erano gli stati del terzo mondo a chiedere il rinnovo di prestiti di cui non riuscivano a pagare nemmeno gli interessi, se non al prezzo della bancarotta.

Negli Stati Uniti intanto, l'amministrazione Reagan, muovendosi in concreto sulla banda opposta rispetto alla sua martellante propaganda ideologica neoliberista, praticava una politica economica che era invece di forte espansione dell'indebitamento statale. Il deficit esterno americano diventava esplosivo, da 9 miliardi di dollari nel 1982, balzava a 124 miliardi di dollari nel 1985. Negli anni di Reagan, gli Stati Uniti si trasformavano da esportatore in importatore di capitali, da primo creditore a primo debitore mondiale.

Non era la sola svolta radicale di Regan, molto più pragmatico delle sue dichiarazioni ideologiche.

La sbornia neoliberistica approdava, nel 1985, agli accordi del Plaza, l'albergo di Central Park a New York. Questi accordi ridefinivano un coordinamento internazionale, più utile delle teorie sulla sovranità del mercato, e imponevano un governo della domanda mondiale e una sorta di cambi amministrati. La progressiva svalutazione del dollaro e la ripresa dell'economia americana, potevano svolgersi in un contesto opportunamente controllato; quindi la politica economica di Reagan era in pratica molto diversa dalle sue affermazioni ideologiche.

Il conto era pagato soprattutto dal Giappone, che aveva finanziato largamente il deficit statunitense. Ora il Giappone, rigonfio di dollari svalutati e di yen, la moneta giapponese, rivalutati, si vedeva costretto ad accollarsi una parte consistente dello sbilancio provocato in larga misura dalla enorme spesa bellica sostenuta dagli Stati Uniti.

Gli anni '80 dell'amministrazione Reagan producono lo smantellamento del sistema di regole e di autorizzazioni che aveva legato i movimenti di capitali a finalità di interesse nazionale. La liberalizzazione dei mercati finanziari è completa.

Il processo di finanziarizzazione è completato. Il prezzo è costituito dalla volatilità e dalla instabilità di questi mercati e dai legami sempre più tenui tra movimenti di capitali e attività reale. 
La speculazione sostituisce largamente la produzione, si afferma il cosiddetto capitalismo dei gestori di portafogli, che diviene elemento caratterizzante dell'epoca: i grandi investitori istituzionali, i fondi di investimento, i fondi pensione. 
Le logiche finanziarie sono di breve periodo, puntano ad elevare i rendimenti momento per momento; in un mercato mondiale completamente aperto e liberalizzato, l'autonomia e i poteri dei governi risultano fortemente ristretti
Il giudizio e la sanzione sulle valute, sul valore delle valute, i tassi di interesse e quindi le politiche dei governi, questi giudizi sono tutti nelle mani dei grandi gestori di portafogli

Chi sono i grandi gestori di portafogli? Sono le banche, sono i grandi finanzieri internazionali, sono gli amministratori dei grandi fondi pensionistici e altre figure di questo tipo.

A fine anni '80, la grande espansione del Giappone culmina nella ascesa al vertice degli investitori: 44 miliardi di dollari rispetto ai 32 circa degli Stati Uniti. La crisi di sovraccumulazione spinge il capitale giapponese su percorsi transnazionali.

Negli anni '90 il potere mondiale è concentrato, per la forza militare negli Stati Uniti, che però sono fortemente indebitati; la liquidità mondiale è invece largamente nelle mani del Giappone e parzialmente dei luoghi minori del capitalismo asiatico, che però sono subordinati agli Stati Uniti sul piano militare e sono attualmente in questi anni traversati da una profonda crisi. 

La vitalità economica dell'intera area del sudest asiatico si è fondata essenzialmente sulla riproduzione allargata del sistema dei subappalti e della forza lavoro a basso costo, scarsamente garantita, scarsamente protetta. 

La flessibilità e la informalità del modello cosiddetto, del cosiddetto modello asiatico, si sono configurati quindi come l'esatto opposto, come il rovescio del modello americano diffuso dal sistema fordista.
Questo modello fordista, si fondava invece su alti salari, garanzie, protezioni sociali e consumi di massa, un modello opposto quindi, il sistema fordista, al cosiddetto modello asiatico. I venti di crisi che da qualche tempo, negli ultimi anni, stanno scuotendo questi paradisi che già sembrano paradisi perduti, dalla Corea del Sud all'Indonesia, alla Malesia, quelle che erano state definite tigri dell'estremo Oriente, destano sempre di più timori crescenti.

Ha osservato di recente un acuto economista di orientamento liberista, come Mario Deaglio: “l'economia globale assomiglia a una nave bellissima alla quale però nessuno si è preoccupato di dare un timone, un timone e neppure un timoniere”. Il procedere del processo di mondializzazione negli anni '90 avanza in un mondo radicalmente modificato rispetto a quello del mezzo secolo precedente. 


Tra il 1989 e il 1991, scomparivano con una realtà imprevista, il mondo comunista dell'Europa orientale e la stessa Unione Sovietica, la seconda superpotenza del mondo bipolare costituito dopo la seconda guerra mondiale. 
Nel 1985, il nuovo segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, Mikhail Gorbačëv, aveva avviato un processo di riforme interne all'Unione Sovietica e in accordo con il presidente Reagan, americano, aveva posto fine alla guerra fredda. Gorbačëv cercò di trasformare l'Unione Sovietica con un programma fondato sulla cosiddetta 'perestroika', la ristrutturazione economica e politica, e sulla 'glasnost' che significa trasparenza, libertà di informazione. 
Ma ciò che portò rapidamente l'Unione Sovietica verso il precipizio fu proprio la combinazione della glasnost, della trasparenza, della libertà di informazione che produsse la disintegrazione dell'autorità che aveva caratterizzato il sistema sovietico, quindi la combinazione della glasnost con la perestroika, processi di ristrutturazione economica e sociale. Questa combinazione produsse il risultato di dissolvere completamente i vecchi meccanismi di funzionamento dell'economia dell'Unione Sovietica, senza riuscire a predisporre, a preparare sistemi alternativi rispetto a quelli precedenti.

Il tentativo di costruire un sistema politico democratico e pluralista si infranse, si dissolse nell'anarchia economica e nel crollo del tenore di vita dei cittadini

Nella seconda metàdel 1989 si dissolsero i regimi e i partiti comunisti dell'Europa orientale senza che si verificasse alcuna resistenza dei sistemi di potere che avevano dominato per oltre 40 anni la Polonia, la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Bulgaria, la Germania orientale. Soltanto il sistema autocratico di Ceaușescu, in Romania, tentò senza successo una breve reazione. Il regime comunista scomparve anche nei due stati balcanici che non erano stati satelliti dell'Unione Sovietica, la Jugoslavia e l'Albania. La Repubblica Democratica Tedesca fu rapidamente assorbita dalla Germania Federale e si compì, nell'impotenza di una Unione Sovietica agli sgoccioli, la riunificazione della Germania che riprendeva il suo status di grande potenza al centro dell'Europa.

Nel 1991 l'Unione Sovietica si disintegrò. Restavano in piedi la Russia del presidente El'cin e gli altri stati ormai autonomi e indipendenti. Il crollo dell'Unione Sovietica comportava la fine del socialismo reale avviato con la rivoluzione bolsevica del 1917. Restavano da risolvere i drammatici problemi della riorganizzazione di un ordinamento economico e sociale, oltre che politico e istituzionale, secondo orientamenti che affermavano dappertutto la centralità del mercato e della democrazia, ma dovevano fare i conti con realtà territoriali e umane che di questi meccanismi di funzionamento, dell'economia e della politica, non avevano alcuna esperienza.

Le speranze dei primi anni '90 nella costruzione di un nuovo ordine mondiale pacifico, si sono infrante di fronte alle guerre che hanno insanguinato la Jugoslavia, dissolta nel riemergere dei più violenti conflitti etnici di puro stampo razzistico e hanno acceso nuove guerre nel tormentato Medio Oriente.

La liberalizzazione del movimento dei capitali nella direzione della mondializzazione globale, ha prodotto nell'ultimo ventennio una radicale ristrutturazione delle forme e delle relazioni del modo di produzione capitalistico anche nella vecchia Europa. La crisi della produzione industriale nelle sue tradizionali forme materiali, ha provocato la fortissima riduzione del mercato del lavoro e quindi dei consumi, innescando una grave spirale recessiva che rischia di colpire anche i paesi avanzati.

Il '900 si sta concludendo tra nubi fosche sul piano dei rapporti tra popoli e stati. Sul terreno economico è maturato il superamento del sistema fordista, che ha fondato il grande sviluppo della società dei consumi di massa, prima negli Stati Uniti e nel secondo dopoguerra in Europa occidentale. E' andata in crisi anche la peculiare costruzione storica dello stato sociale in Europa, sia per la riduzione delle risorse disponibili, sia per la distorsione e lo spreco in certi casi, delle risorse indirizzate verso tale obiettivo.

Questo secolo di trasformazioni radicali e di benessere materiale largamente propagato, si chiude tra terribili forme di violenza diffusa e nella difficoltà di intravedere le prospettive di sviluppo che coronavano l'attesa del XX secolo.

La carta che vedete adesso sulla distribuzione della ricchezza, realizzata in base al prodotto nazionale lordo del 1993, è particolarmente eloquente della persistente frattura tra le aree circoscritte della ricchezza, rappresentate con i colori più scuri e quelle molto più ampie della povertà e della semi-povertà.


Altrettanto indicativo è il grafico che vediamo di seguito, da cui risulta, confrontando i prodotti nazionali lordi pro-capite dei vari paesi, come il 20% più ricco della popolazione mondiale possieda oltre l'82% del prodotto nazionale lordo globale, mentre il 20% più povero possiede soltanto l'1,40%.


Quindi la contraddizione più pesante è tra la crescita delle risorse e la sperequazione nella loro ripartizione tra un'esigua élite di privilegiati e masse enormi di esclusi che premono da tutte le parti per garantirsi almeno la sopravvivenza.

Vediamo adesso di ricapitolare i punti principali di questa lezione:

- Il nuovo potere del capitale finanziario
- Il processo di transnazionalizzazione dell'economia
- La crisi dell'egemonia mondiale degli Stati Uniti
- L'era reaganiana tra ideologia neoliberista, indebitamento pubblico e nuovo governo mondiale dell'economia
- La grande espansione economica del Giappone
- La fine del comunismo
- Violenza diffusa e carenza di prospettive alla fine del secolo
Arrivederci.

Cartina geografica politica dell'Europa nel 1973.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Cartina geografica della fomazione ed espansione della CEE, la
 Comunità Economica Europea, attrverso il MEC, il Mercato Comune
Europeo, dagli esordi come CECA (Comunità del Carbone e dell'Acciaio)
nel 1951, fino al 1995, già UE, l'Unione Europea, a cui aderiranno poi
altri Stati. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Cartina geografica dell'Europa divisa dalla cortina di ferro:a Ovest gli aderenti
alla NATO, il Patto Atlantico (RFT è la Repubblica Federale Tedesca), e a Est
 gli aderenti al Patto di Varsavia (RDT è la Repubblica Democratica Tedesca)
 nel periodo che va dal 1949 al 1989. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Cartina geografica della divisione del mondo fra NATO (il Patto Atlantico) e
i paesi aderenti al Patto di Varsavia, dal 1949 al 1989.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Cartina geografica politica del 2012 del mondo, con le bandiere
delle nazioni sovrane. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Cartina geografica fisica del mondo. Clicca sull'immagine per ingrandirla.



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