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venerdì 19 dicembre 2014

Economia Politica 7° - Nel mondo dal 2013 al 2015

Banconota cinese da 100 RMB (Renminbi yuan), pari a
circa 10 €. Il renminbi (o yuan) è la valuta avente corso
 legale nella Repubblica Popolare Cinese, emesso dalla
Banca Popolare Cinese, l'autorità monetaria della
Repubblica Popolare Cinese. L'abbreviazione ufficiale
dello standard internazionale ISO 4217 è "CNY".
L'abbreviazione comunemente usata e non conforme
allo standard è "RMB". La Renminbi (moneta  del
popolo), ha l'unità di base nello yuan o kua: 1 yuan
è diviso in 10 mao (oppure jiao) a loro volta divisi in 10
 fen. Il cambio RMB (CNY) oscilla: da circa 0,099 euro
(1 € =10 RMB), 1 Euro = 10.250 RMB, 0.0970 Euro (EUR)
= 1 RMB (CNY), oppure: 1 EUR = 8,620 CNY (RMB)
e 0,116 EUR = 1 CNY (RMB)
26-03-2013 - Vengono formalizzati i Brics, nuova banca mondiale per i paesi emergenti. I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno raggiunto un’intesa per la creazione di una banca di sviluppo per il finanziamento congiunto di grandi progetti infrastrutturali. Lo ha annunciato, a margine del vertice di Durban, il ministro sudafricano delle Finanze Pravin Gordhan: “E’ fatta”, ha risposto a una domanda. Un quarto del Prodotto Interno Lordo (Pil) del pianeta, il 43% della popolazione, riserve in valuta pregiata per 4,400 miliardi di dollari. Queste le impressionanti cifre del gruppo dei Brics, i Paesi emergenti riuniti a Durban, per il quinto vertice annuale. L’agenda del summit è ambiziosa: creare una serie di meccanismi economici, a partire dalla nuova superbanca, il cui obiettivo è di contrastare il dominio della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, gli organismi creati dopo la Seconda Guerra Mondiale e dominati da Stati Uniti ed Europa. Non solo: i Brics aspirano a dotarsi di una loro agenzia di rating, un loro sistema finanziario e un collegamento in banda larga per lo scambio di dati. Il vertice di Durban vede l’esordio del nuovo numero uno cinese Xi Jinping, rappresentante del Paese più forte del gruppo sia dal punto di vista economico – conta per i tre quarti del Pil di tutto il raggruppamento – che militare. La presenza della Cina in Africa, il continente che ospita il vertice di quest’anno, supera nettamente quella di tutti gli altri Brics e la proietta in un ruolo di leader di fatto del gruppo. Xi Jinping è stato ricevuto dal presidente sudafricano Jacob Zuma poco prima dell’apertura del vertice, e i due hanno riaffermato gli stretti legami tra i due Paesi. Zuma ha in programma incontri bilaterali anche con la presidente brasiliana Dilma Rousseff e col leader russo Vladimir Putin. Xi Jinping e Putin si sono incontrati due giorni fa a Mosca. Il Brasile ha siglato oggi un accordo con la Cina per realizzare transazioni commerciali nelle rispettive valute nazionali, anziché in dollari statunitensi. L’accordo, che ha una validità di tre anni, è stato deciso per “agevolare il commercio tra i due Paesi e proteggere le operazioni commerciali e gli investimenti dalle oscillazioni del dollaro”, secondo la banca centrale brasiliana. La Cina è diventata il primo partner commerciale del Brasile, scavalcando gli Stati Uniti. Il volume degli scambi commerciali tra i due Paesi è stato di circa 75 miliardi di dollari nel 2012. Il Sud Africa è il più piccolo, per Pil, dei cinque Paesi del gruppo, con 390 miliardi di dollari contro gli oltre ottomila della Cina. Però è anche quello che ha la struttura bancaria più avanzata, e dovrebbe avere un ruolo importante nella nuova superbanca: infatti, è considerata la seconda del mondo per solidità dopo quella del Canada, mentre quella del Brasile è al 14mo posto, quella dell’India al 38mo e quella della Russia al 132mo. In Cina non esiste un settore bancario privato. Presentando il vertice alla stampa, Zuma ha sottolineato che “non si tratta di un talk-show”. “Quello dei Brics – ha aggiunto – è un raggruppamento serio, in grado di prendere decisioni. Per la prima volta, il Brics ha permesso all’Africa di far parte di un importante raggruppamento”. Ciascun Paese verserà 10 miliardi di dollari nelle casse della banca, che avrà così un capitale operativo di partenza di 50 miliardi di dollari. In futuro la struttura dei Brics sarà probabilmente allargata ad altri Paesi emergenti, primi fra tutti la Turchia e l’Indonesia. Altri seri candidati sono il Messico, la Nigeria, la Corea del Sud e il Vietnam, tutti Paesi le cui economie stanno crescendo a ritmi sostenuti e che aspirano a giocare un ruolo importante nelle relazioni internazionali.  

- La Cina, ormai sul punto di essere la prima potenza economica mondiale, dopo avere ottenuto grandi vantaggi per i propri approvvigionamenti energetici in Sudamerica e in Africa (dove ha un ruolo anche nella guerra del Darfur), deve fare i conti in casa propria. Da: http://temi.repubblica.it/limes/uiguri-terrorismo
-ed-energia-xinjiang-snodo-irrisolto-della-cina/53884
Da "L’ascesa internazionale della Cina" di Maria Weber: http://www.sioi.org/Sioi/weber.pdf
L’era Clinton - Durante il suo primo mandato, il presidente Clinton puntò sul rafforzamento dei legami economici con Pechino e sul sostegno all’inserimento cinese nell’economia globale. Il primo passo fu lo sganciamento del tema dei diritti umani dal consenso al rinnovo annuale da parte del Congresso della clausola della nazione più favorita. Dopo la crisi nello stretto di Taiwan, innescata nel 1996 dalla dura reazione di Pechino alla notizia delle prime elezioni libere sull’isola, il lungo viaggio in Cina del Presidente nel luglio 1998 espresse l’impegno dell’Amministrazione per una politica più vicina al coinvolgimento che al contenimento. Negli anni del secondo mandato di Clinton, Pechino ottenne dunque la normalizzazione delle sue relazioni con Washington. Così, nella retorica politica, da paese pericoloso da tenere sotto controllo, contenendone l’espansione, la Cina diventò partner strategico degli Stati Uniti. La guerra in Kosovo e l’incidente della bomba NATO caduta nel maggio 1999 per errore sull’Ambasciata cinese a Belgrado raffreddarono fortemente la neonata amicizia tra Washington e Pechino. La reazione dei cinesi fu molto dura: non credettero all’ipotesi dell’incidente, causato da un errore umano. Manifestazioni di protesta davanti all’ambasciata americana a Pechino richiamarono alla memoria di molti osservatori il pesante clima antiamericano degli anni Settanta. Zhang Zhaozhong, famoso esperto di armamenti, dichiarò che era impossibile che gli USA utilizzassero delle mappe di Belgrado vecchie di quattro anni. Un sondaggio d’opinione pubblicato dal giornale di partito China Youth Daily rivelò che nessuno degli 800 intervistati credeva alla versione americana dell’incidente. Varie teorie cospirative apparvero sui quotidiani cinesi, con ipotesi irrealistiche sulla volontà americana di destabilizzare il paese. In questo clima di tensione, per ben quattro giorni il presidente Jiang Zemin si rifiutò di rispondere alle telefonate di Clinton, che gli offriva le proprie scuse. A seguito dell’incidente di Belgrado, Pechino sospese indefinitamente i colloqui bilaterali sui diritti umani e posticipò la data degli incontri bilaterali sul controllo degli armamenti e sulla non proliferazione nucleare. Nell’ottobre 1999 riprese il dialogo amichevole tra Washington e Pechino. Sarebbe eccessivo affermare che durante l’amministrazione Clinton l’asse dell’equilibrio di potenza si sia spostato dal tradizionale binomio Washington-Tokyo a un innovativo equilibrio di potenza Washington-Pechino, ma sicuramente si sono poste le basi per il coinvolgimento della Cina in molti accordi internazionali, riuscendo Clinton a creare consenso tra gli alleati europei sulla necessità dell’integrazione della Cina. La politica di coinvolgimento ha portato Pechino a firmare numerosi trattati internazionali sulla sicurezza, in particolare: il Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (CTBT), il Nuclear Non-Proliferation Treaty (NPT), la Chemical Weapons Convention (CWC), la Biological Weapons Convention (BWC). Negli anni Novanta la Cina è entrata a far parte anche del forum di sicurezza dell’Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico (ASEAN Regional Forum, ARF) e del Comitato per la Sicurezza e la Cooperazione in Asia e Pacifico (CSCAP). Inoltre, il governo cinese ha avviato il dialogo sui diritti umani all’interno delle commissioni delle Nazioni Unite, ha partecipato agli incontri dell’Asia-Europe Meeting (ASEM) e a quelli dell’ASEAN plus 3 (Cina, Giappone e Corea del Sud). Infine, Pechino si è impegnata a studiare attentamente il protocollo di adesione al regime di controllo sulla tecnologia missilistica (Missile Technology Control Regime, MTCR).
L’era Bush: la campagna elettorale del 2000 e l’inizio del primo mandato - Durante la campagna per l’elezione presidenziale del novembre 2000, il futuro presidente George W. Bush definì la Cina un “competitore strategico” e affermò che la politica americana in Asia non avrebbe più trascurato gli alleati naturali, come Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Le proposte di politica estera del candidato Bush erano state articolate in un intervento di Condoleeza Rice apparso sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs nel gennaio 2000 con il titolo “Promoting the National Interest”. Nell’articolo risulta chiara la percezione di una situazione storica eccezionale per cui l’America, uscita vincitrice dalla guerra fredda, è l’unica superpotenza politica ed economica e da ciò può ricavare grandi benefici. Secondo la Rice, «gli Stati Uniti hanno un ruolo speciale nel mondo e la fortuna di trovarsi davanti a una opportunità straordinaria» , che è quella di promuovere ovunque i valori di libertà, prosperità e pace. Il fine ultimo della politica estera americana deve essere l’interesse nazionale, che determinerà benefici per tutto il mondo. In polemica con i tagli al bilancio della Difesa decisi dall’amministrazione Clinton, la Rice ricorda che gli Stati Uniti non devono trascurare «le forze armate, che possono evitare la guerra tramite la deterrenza, proiettare la potenza e combattere in difesa degli interessi americani, se la deterrenza fallisse». Per la Rice, dunque, la potenza militare deve restare un pilastro fondamentale della strategia americana. Coerentemente, propone di abbandonare il Trattato contro i Missili Balistici (ABM) per realizzare una Difesa Missilistica Nazionale e di Teatro (National Missile Defense, NMD e Theatre Missile Defense, TMD), in modo da evitare che “Stati canaglia” come l’Iraq, la Corea del Nord e l’Iran possano limitare la superiorità strategica americana, minacciando il mondo con armi di distruzione di massa. L’America non deve essere isolazionista, ma deve essere chiaro che l’interesse nazionale viene prima degli interessi di «un’illusoria comunità internazionale». Dato questo quadro generale, la Rice argomenta che le due grandi potenze che devono essere al centro della strategia internazionale americana sono la Russia e la Cina. La Russia perché, se abbandonata alla sua debolezza economica e alle difficoltà di transizione politica interna, rischia di minacciare la sicurezza degli Stati Uniti. La Cina perché è protagonista di una formidabile ascesa economica: la sua integrazione nell’economia internazionale può avere effetti positivi per l’America, ma non va dimenticato il rovescio della medaglia: «una maggiore ricchezza può fornire alla Cina i mezzi per sostenere la propria inclinazione a mettere in discussione lo status quo […] La Cina è ancora una potenziale minaccia alla stabilità dell’area AsiaPacifico: questo la rende un competitore strategico». La politica verso la Cina suggerita dalla Rice è stata definita di congagement (containment + engagement, contenimento + coinvolgimento). Essa include infatti sia elementi di coinvolgimento (l’integrazione della Cina nell’economia internazionale è ritenuta auspicabile) sia elementi di contenimento (la Cina è considerata un “competitore strategico” degli Stati Uniti, che devono assicurarsi un sistema di alleanze e una forza militare tali da escludere nella controparte una tentazione al confronto ostile).


28-10-2013 - In piazza Tiananmen, a Pechino, una jeep si è lanciata a tutta velocità contro i passanti che si trovavano di fronte all’ingresso principale della Città Proibita. Subito dopo l’impatto l’auto ha preso fuoco.
Il bilancio è stato di 5 morti e 38 feriti. Nelle ore successive, le autorità non hanno fornito alcun dettaglio sull’accaduto. Nel frattempo, le immagini amatoriali pubblicate su Weibo, il Twitter cinese, sono state prontamente censurate e la vettura circondata da teli di plastica verdi.
Carta fisica della Cina con i nomi
delle sue regioni e delle principali
città. Clicca sull'immagine
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La polizia di Pechino sembra non avere dubbi: si è trattato di un attentato suicida. All’interno dell’auto (registrata nello Xinjiang) vi erano Usmen Hasan, sua madre Kuwanhan Reyim e la moglie Gulkiz Gini. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, erano 3 cinesi di etnia uigura. Con i loro corpi sono stati rinvenuti coltelli, non specificati “dispositivi pieni di benzina” e una bandiera jihadista. Il 30 ottobre, la polizia ha arrestato 5 sospetti provenienti dalla medesima regione, che avrebbero confermato la loro partecipazione all’attentato.  
Secondo Meng Jianzhu, capo della Commissione per gli affari politici e legali del Partito Comunista Cinese (Pcc), l'attacco sarebbe stato architettato dal Movimento Islamico del Turkestan Orientale (Etim). L'Etim è considerato da Pechino come il principale gruppo terroristico dello Xinjiang e la più grande minaccia alla sicurezza della Cina. 
Carta politica della Cina con i nomi
 delle sue regioni e delle principali
città. Clicca sull'immagine
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Il Pcc (Partito comunista cinese) ha rimosso il generale Peng Yong, capo della sicurezza militare nella regione, dal comitato permanente del Partito in loco. Il provvedimento non è stato preso esplicitamente a causa dell'attentato.
Il presunto attacco terroristico di Tiananmen ha attirato nuovamente l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sullo Xinjiang, patria della minoranza etnica degli uiguri. La “Nuova frontiera”, questo significa il suo nome, è un polo di forte instabilità geopolitica e allo stesso tempo uno snodo imprescindibile delle rotte energetiche a Ovest dell’Impero del Centro. Per questo Pechino deve garantirne la stabilità. Lo Xinjiang, o Turkestan Orientale, nella versione turco-islamica, è la regione più occidentale della Cina. Si tratta di un'area sostanzialmente desertica, che comprende il 17% del territorio del paese ma solo il 2% dei suoi abitanti. La regione confina con Russia, Mongolia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India.
Le infrastrutture fra Cina e Asia centrale
fonte: http://www.stratfor.com/analysis/
chinas-ambitions-xinjiang-and-central-
asia-part-1. Clicca sull'immagine
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Gli uiguri, che costituiscono il 46% della popolazione dello Xinjiang, sono musulmani di lingua turcofona, con abitudini e tratti somatici molto diversi da quelli dei cinesi di etnia han. Questi ultimi rappresentano il 90% della popolazione dell’Impero del Centro e si concentrano sulla costa Est. Sin dalla prima metà del 1900, gli uiguri lottano per l’indipendenza della regione. La distribuzione etnica nella regione è piuttosto netta. Gli uiguri si concentrano a Sud nel bacino del Tarim, che comprende Kashgar (3,9 milioni di abitanti) e Hotan. Urumqi, a Nord, è popolata in prevalenza da han. Questi ultimi si sono trasferiti nella regione negli anni Novanta, quando Pechino ha dato il via alla campagna “go West”: un insieme di progetti per agevolare lo sviluppo industriale e urbano dello Xinjiang. Spinti da ingenti incentivi economici governativi, gli han (oggi il 40% degli abitanti della regione) hanno “colonizzato” il Nord; guarda caso, dove erano stati scoperti i primi giacimenti petroliferi. Sono stati loro a beneficiare delle campagne per industrializzare lo Xinjiang.
Cina: in verde la prevalenza dell'etnia
han e in rossastro la prevalenza uiguri.
Da: http://www.stratfor.com/analysis/
chinas-ambitions-xinjiang-and-central-
asia-part-1. Clicca sull'immagine
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La “sinizzazione” della regione ha provocato il formarsi di movimenti separatisti uiguri - tra cui il già citato Etim - e provocato numerosi scontri fra le 2 etnie. L’episodio più grave si è verificato il 5 luglio del 2009 a Urumqi, dove sono morte 200 persone. Ogni anno, nei giorni che precedono il tragico anniversario, Pechino alza la soglia di sicurezza nella regione e censura le parole sensibili su Internet.
Il governo cinese sa che il risentimento degli uiguri e la vicinanza geografica all’Afghanistan e al Pakistan rendono lo Xinjiang un terreno fertile per il terrorismo islamico. Tra il 26 giugno e il 31 agosto 2013, infatti, le forze di polizia locali hanno arrestato 110 uiguri, ritenuti colpevoli di aver promosso la jihad (guerra santa). Inoltre a luglio, alcuni membri della minoranza etnica si sono uniti ai ribelli siriani per combattere l’esercito lealista di al-Asad.
Carta dello Xinjiang o Turkestan
orientale e i suoi giacimenti di petrolio
 in una carta di Laura Canali. Lo
Xinjiang o Turkestan orientale confina
con Mongolia, Russia, Kazakistan,
Kirghizistan, Tagikistan, Afganistan,
Pakistan, India. Clicca sull'immagine
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Il fabbisogno cinese d’idrocarburi è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni. La scarsa presenza di giacimenti di petrolio e gas nell’Impero del Centro ha spinto Pechino a diversificare le fonti di approvvigionamento.
L’Asia Centrale, ricca di giacimenti gasiferi e vicina geograficamente, è stata definita dal Generale dell’Esercito di liberazione del popolo (Pla) Li Yazhou, come “la più sottile fetta di torta donata dal cielo alla Cina moderna”.
A settembre, il presidente cinese Xi Jinping ha effettuato un tour di 10 giorni nella regione, firmando numerosi accordi commerciali. Xi ha visitato Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan; ha partecipato al G-20 di San Pietroburgo, in Russia, e al summit della Shanghai Cooperation Organization (Sco) a Bishek, in Kirghizistan.
Pechino ha le idee chiare su come agire: stringere buoni rapporti diplomatici, offrire il proprio aiuto nella costruzione di strade, porti, ferrovie e in cambio ottenere gas e petrolio a un buon prezzo. La strategia si sta dimostrando efficace. La Cina, infatti, importa dal Kazakistan circa 235 mila barili di greggio al giorno. Se Astana (la capitale del Kazakistan, di 708.794 abitanti, stime del 2010) completerà nel 2014 il progetto del giacimento petrolifero di Kashagan, Pechino prevede di aumentarli a 1.5 milioni.
Nucleo della Cina e la sua periferia,
anche transnazionale in una carta
di Laura Canali. Clicca sull'immagine
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In Kazakistan la "China National Petroleum Corporation" gestisce insieme alla “KazTransOil” 4 pipeline, inclusa la “Kazakistan-China crude oil pipeline” e la “Kazakistan-China gas pipeline”. In Uzbekistan, Pechino ha acquistato circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale. Il Turkmenistan, invece, è il secondo più grande fornitore di gas dell’Impero del Centro. Durante il viaggio, Xi e il suo omologo Gurbanguly Berdimuhamedov hanno inaugurato nel paese centroasiatico l’inizio delle attività produttive presso il giacimento gasifero di Galkynysh, il secondo più grande al mondo.
Inoltre, i 2 leader hanno sottoscritto un accordo per la vendita di 25 miliardi di metri cubi (bcm) di gas all’anno da parte della “TurkmenGas” alla “China National Petroleum Corporation (Cnpc)”. È previsto che si raggiungano i 65 bcm entro il 2020.
Tutte le infrastrutture che consentono il trasporto d’idrocarburi dall’Asia Centrale verso la costa cinese - il cuore politico ed economico del paese - passano per il fragile Xinjiang. Questo è il problema di Pechino. A ciò si aggiunge che comunità di uiguri abitano anche i paesi confinanti con la “Nuova frontiera”.
Tali fattori obbligano la Cina e i suoi partner regionali ad alzare la guardia nella lotta al terrorismo. In questo ambito la Sco (Organizzazione di Shanghai per la cooperazione: Shanghai Cooperation Organisation, SCO) - che si impegna nella lotta contro “i 3 mali” (terrorismo, estremismo e separatismo) - ha un ruolo fondamentale. Non a caso, durante l’ultimo meeting dell’Organizzazione, gli Stati membri (Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan) hanno firmato una dichiarazione congiunta per migliorare le basi legali della collaborazione internazionale nel campo della sicurezza. L'attentato di Tiananmen non getta il governo cinese nel panico. Anzi, è una ghiotta occasione per irrigidire ulteriormente i controlli e la censura nello Xinjiang. Il rischio è di generare un nuovo inasprimento dei rapporti con la minoranza etnica. Finché Pechino non troverà la chiave di volta per dialogare pacificamente con gli uiguri, difficilmente lo Xinjiang potrà considerarsi un hub energetico affidabile.

Carta politica dell'Europa con i 28 stati membri dell'UE nel 2014
e le loro bandiere: Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi
(l'Olanda) , Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Regno Unito,
Grecia, Spagna, Portogallo, Austria,  Finlandia,  Svezia,
Repubblica Ceca,  Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania,
Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria,
Romania e Croazia. Gli altri stati che fanno parte dell'Europa:
Islanda, Norvegia, Russia, Kazakistan europeo, Bielorussia,
Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Andorra,
Liechtenstein, Svizzera, San Marino, Città del Vaticano, Bosnia
Erzegovina, Serbia, Kosovo, Montenegro, Albania, Macedonia,
Turchia europea. Segue legenda degli stati membri dell'UE
e dei candidati a esserlo, l'adesione congelata, quelle rifiutate
dai cittadini o dall'UE, la tabella bandiere-nomi degli stati
aderenti all'Unione Europea. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

- Gli Usa investono 5 miliardi di dollari per fomentare disordini che tolgano l'Ucraina, da dove passano gasdotti e oleodotti russi, dall'orbita di Mosca, foraggiando anche numerosi politici per il "salto della quaglia". Il suo progetto? Vendere all'Europa il suo gas, lo Shale gas o gas di scisto, estratto dalle rocce poco porose nelle grandi profondità del sottosuolo, a prezzo di gravi danni ambientali. Da http://www.greenstyle.it/shale-gas-o-gas-di-scisto-cosa-ce-da-sapere-11525.html. Shale Gas o gas di scisto: cosa c’è da sapere. Con il termine di shale gas, o gas di scisto in italiano, si intende il gas naturale intrappolato nelle rocce poco porose ad alta profondità. Si tratta di gas a tutti gli effetti, in buona parte metano, che però non si trova in un normale giacimento e, di conseguenza, non basta trivellare un pozzo tradizionale per tirarlo fuori. Per estrarlo si usano due tecniche: la trivellazione orizzontale e il fracking idraulico, anche detto hydraulic fracturing. Entrambe sono tecniche già note all’industria petrolifera da diversi anni, ma solo di recente si è scoperto che usandole insieme si può pompare dal sottosuolo il gas intrappolato negli scisti e altri idrocarburi non convenzionali.
Negli ultimi anni lo shale gas è stato il protagonista indiscusso degli scenari energeticisoprattutto negli Stati Uniti dove è partita una nuova corsa all’oro che ha portato alla trivellazione di centinaia di pozzi per estrarre gas di scisto. Per comprendere bene la questione shale gas bisogna chiedersi quanto ce ne sia e dove nel mondo, quali ripercussioni sull’ambiente possano avere le trivellazioni orizzontali e il fracking e quale impatto sulle politiche di riduzione delle emissioni di CO2 avrà lo sviluppo di questo gas.
Una vera e propria mappa dello shale gas non esiste. Rispetto al gas convenzionale, contenuto in una sacca naturale sotto terra, il gas di scisto è difficile da quantificare finché non lo si estrae. Essendo intrappolato nella roccia, infatti, è quasi impossibile avere una fotografia realistica di quanto gas contenga un giacimento di shale gas. Le stime dell’Unione europea parlano di circa 450 trilioni di metri cubi, cioè 450.000 miliardi, a livello mondiale...
...Il motivo per cui lo shale gas è tanto contestato è sintetizzabile in queste due parole. L’accoppiata tra le trivellazioni orizzontali e il fracking idraulico, infatti, oltre a permettere l’estrazione di questo gas è fortemente sospettata di causare danni (o quanto meno seri rischi) al sottosuolo. Capire come funziona il processo aiuta a comprendere i rischi. In un pozzo tradizionale la trivella scende in verticale, accompagnata da grandi quantità di fluido di trivellazione che diminuisce l’attrito, raffredda l’attrezzatura e tiene in pressione il pozzo.
Solitamente la trivella, nella prima parte del suo percorso, attraversa una o più falde acquifere e per questo si usa la tecnica del “casing”. Una sorta di cappotto di acciaio e cemento inserito nel pozzo per renderlo a tenuta stagna e impedire che il petrolio, il gas o il fluido di trivellazione entrino a contatto con l’acqua dolce destinata all’uso umano inquinandola gravemente. Per estrarre lo shale gas a tutto questo si aggiunge una seconda e una terza fase. Una volta fatto il buco in verticale la trivella viene fatta progressivamente deviare finché non si trova a lavorare in orizzontale, rispetto al piano del terreno, in direzione del giacimento roccioso. Una volta raggiunto lo scisto si inserisce dell’esplosivo nel canale scavato dalla trivella, al fine di fratturare la roccia creando delle grosse fessure. Fatto ciò si pompa ad alta pressione dell’acqua con sabbia e agenti chimici al fine di microfratturare ulteriormente lo scisto e liberare il gas che contiene. Questa procedura viene ripetuta più volte facendo procedere a passo di gambero la trivella, facendo più esplosioni e più pompaggi per ogni condotto. E, dalla trivellazione verticale, si procede a fare altre deviazioni orizzontali in modo da fratturare il più possibile la roccia. In questo modo, da un solo pozzo visibile in superficie, si possono realizzare anche dieci vie d’uscita per il gas. Ognuna delle quali comporta varie cariche di esplosivo e conseguente pompaggio del fluido. Questo video, meglio delle parole, spiega il procedimento: https://www.youtube.com/watch?v=lB3FOJjpy7s.

- L'Europa ci casca, o finge di cascarci, e riconosce un golpe a danno di un parlamento democraticamente eletto come una giusta volontà popolare. Il Fmi e l'Ue foraggiano di milioni di euro il nuovo governo che non riuscirà neppure a pagare tutti i debiti con Mosca... i mercenari che combattono in piazza Mandan li paga la Cia. In Ucraina si mobilitano i movimenti per l'adesione all'UE. Per "Ucraina: la crisi finanziata dagli USA per vendere gas all'UE" clicca QUI

Cronistoria degli avvenimenti recenti da: http://www.europaquotidiano.it/2014/02/19/
perche-e-riesplosa-la-crisi-ucraina-la-cronologia/
21-11-2013 - Il presidente Viktor Yanukovich rifiuta gli "Accordi di associazione" e il "Deep and Comprehensive Free Trade Agreement", due misure di  incentivi economico-commerciali offerti dall’Ue nello schema della Eastern Partnership, iniziativa mirata a rafforzare la cooperazione con i paesi ex Urss e a contenere, implicitamente, l’influenza di Mosca.
Viktor Janukovyč
Nello stesso giorno la Rada, il parlamento di Kiev, respinge una serie di emendamenti sulla liberazione dell’ex primo ministro Yulia Tymoshenko, condizione che l’Ue vincolava alle intese.
Julija Tymošenko
La Tymoshenko è stata condannata a sette anni di carcere nel 2011. Secondo l’accusa gli accordi sulle importazioni di gas da lei contratti con la Russia nel 2009 hanno causato un’emorragia finanziaria allo stato.
Nella stessa giornata, piazza dell’Indipendenza, nel centro di Kiev, si riempie. Migliaia di persone prendono parte a una manifestazione contro le scelte di Yanukovich e a favore di una maggiore integrazione con l’Ue. Euromaidan (maidan significa piazza in lingua ucraina) diventa, da questo momento, il nome del movimento.

27-11-2013 - Si tiene a Vilnius, la capitale lituana, il vertice della "Eastern Partnership". Mezzo fiasco. Il rifiuto ucraino di siglare gli accordi con l’Unione europea ne depotenzia la portata.

30-11-2013 - La polizia carica i manifestanti. Nel frattempo, la protesta, tenutasi quotidianamente dal 21 novembre, ha cambiato segno. Non si configura più come un moto d’indignazione e come la rivendicazione di un destino europeo. Piuttosto, assume la forma di un movimento contro Yanukovich e il suo sistema di potere, in cui trovano sempre più spazio i sussulti nazionalisti. Oltre che a Kiev si manifesta anche in altre città del paese. Persino a est, tradizionale bacino di voti del Partito delle regioni di Yanukovich.

01-12-2013 - L’intervento contro i manifestanti, avvenuto il giorno prima, porta in piazza una marea umana di almeno 300mila persone. È la più grande protesta mai registrata dalla rivoluzione arancione del 2004-2005, quando la pressione popolare portò alla ripetizione del ballottaggio presidenziale (inizialmente vinto da Yanukovich) e alla vittoria di Viktor Yushchenko.
Viktor Yushchenko (Juščenko)
I manifestanti occupano il comune di Kiev.
Un’iniziativa coordinata in modo particolare dagli attivisti di  Svoboda (che significa Libertà), partito ultra-nazionalista che nel 2012 è andato in doppia cifra alle politiche.
Il suo capo, Oleh Tyahnybok, è assieme all’ex pugile Vitali Klitschko e al luogotenente della Tymoshenko, Arseniy Yatseniuk, uno dei tre capi dell’opposizione parlamentare e di Euromaidan (maidan significa piazza in lingua ucraina). Sempre a Kiev, viene occupata la sede dei sindacati. Su piazza Indipendenza vanno avanti regolarmente i presidi quotidiani.

Principali condotte di petrolio e gas russo
verso l'Europa attraverso l'Ucraina.
02-12-2013 - Yanukovich va in Cina e ottiene otto miliardi in investimenti. La partita ucraina si gioca anche sul fronte finanziario.
Il paese è stato martellato dalla crisi, i conti sono profondo rosso.
Nei mesi precedenti Yanukovich aveva cercato di giocare su due tavoli, quello europeo e quello russo, allo scopo di alzare la posta e ottenere il più possibile.
Gli accordi proposti dagli europei, tuttavia, erano affiancati da un possibile prestito del Fmi che chiedeva a Yanukovich riforme troppo costose in termini politici, come l’adeguamento dei prezzi del metano al mercato.
Ogni governo ucraino li ha sempre tenuti artificiosamente bassi.

10-12-2013 - Le autorità ucraine cercano di sgomberare piazza Indipendenza e di evacuare il comune di Kiev.
Il tentativo fallisce.
Ma la tensione sale.

Il PIL ucraino suddiviso per regioni,
dove primeggiano le zone russofone.
17-12-2013 - Yanukovich va a Mosca e ottiene da Putin un prestito da 15 miliardi di dollari, più un vistoso sconto sul gas, il cui costo passa da 400 a 265 dollari per mille metri cubi. L’opposizione sostiene che sottobanco sia stata negoziata anche l’adesione all’Unione eurasiatica, progetto strategico con cui Mosca vuole riaggregare lo spazio post-sovietico. Putin lo considera non complementare con la Eastern Partnership, che a suo avviso è un’invasione europea nel cortile di casa.

Dal 18-12-2013 al 15-01-2014 - In quest’arco di tempo la situazione a Kiev sembra ristagnare. Le proteste calano di intensità. Si registra, la notte del 25 dicembre, il pestaggio di Tetiana Chornovol, un’attivista del campo anti-Yanukovich che si divide tra il giornalismo e la militanza attiva.

16-01-2014 - Il parlamento ucraino approva senza discussione le cosiddette “leggi anti-protesta”, catapultate da Yanukovich nell’assemblea, che limitano fortemente il diritto a manifestare, comprimendo potenzialmente anche la libertà di stampa.

Dal 17 al 28-01-2014 - Nei giorni successivi all’adozione della legge si scatena la guerriglia sulle strade di Kiev. Ulica Grushevskogo, una via situata tra piazza Indipendenza e lo stadio della Dinamo Kiev, diventa un campo di battaglia. In prima linea si schierano gruppi di estrema destra, con postura chiaramente paramilitare. Il principale, tra questi, è Pravyi Sektor. Le forze di sicurezza rispondono con durezza. Gli scontri causano alcune vittime.
Nel frattempo Spilna Prava, gruppo movimentista e nazionalista, inizia a occupare le sedi di alcuni ministeri a Kiev. Gli esponenti di Euromaidan, dal canto loro, assumono il controllo dei palazzi dei governatorati in diverse città dell’occidente ucraino, dove le forze dell’opposizione riscuotono il grosso del loro consenso elettorale.
In questi giorni si registra una serie di consultazioni tra Yanukovich e i capi dell’opposizione. Si cerca una soluzione concordata alla crisi politica.

28-01-2014 - Il parlamento cancella le leggi anti-protesta. Arrivano nelle stesse ore le dimissioni del primo ministro Mykola Azarov, uomo vicino a Yanukovich. Ma le concessioni da parte del presidente non convincono l’opposizione, che rilancia con la riforma della costituzione (più poteri al parlamento) e le presidenziali anticipate, rispetto alla data già stabilita: febbraio 2015.

29-01-2014 - Il Partito delle regioni approva unilateralmente una legge che azzera i processi nei confronti dei dimostranti che hanno preso parte agli scontri, a patto che Euromaidan ponga fine alle occupazioni dei palazzi del potere entro due settimane. L’opposizione bolla la misura come ricattatoria e continua a chiedere riforma della costituzione e presidenziali anticipate, senza ottenere risposte da parte di Yanukovich, che offre invano a Yatseniuk di presiedere un esecutivo di unità nazionale. Nel frattempo la hryvnia, la moneta ucraina, crolla ai minimi storici. Mentre Mosca, dopo l’erogazione di una prima rata da tre miliardi, congela il prestito a Kiev. Il Cremlino vuole garanzie da Yanukovich.

07-02-2014 - In una conversazione con l’ambasciatore a Kiev, intercettata e diffusa sul web, l’assistente al segretariato di stato americano, Victoria Nuland, manifesta la scarsa considerazione nei confronti del ruolo mediatore dell’Unione europea. «Fuck the Eu», le si sente dire. Sdegno da parte di Bruxelles, la cui “ministra degli esteri” Catherine Ashton s’è recata più volte a Kiev, da quando è scoppiata la crisi, cercando di riaprire la trattativa sugli Accordi di associazione, assecondata da prestiti del Fmi meno vincolanti rispetto a quelli prospettavi alla vigilia della Eastern Partnership.
Victoria Nuland
«Fanculo l’Unione europea». La frase – in bocca a Victoria Nuland, assistente segretario di stato americano – non poteva non guadagnare i titoli dei media di tutto il mondo. Ma nella (presunta) telefonata tra la Nuland e Geoffrey Pyatt, ambasciatore Usa in Ucraina, c’è molto altro. C’è materiale a sufficienza per mettere in fortissimo imbarazzo il dipartimento di stato americano, e proprio nel giorno in cui si aprono le Olimpiadi di Sochi. E per assestare un grosso colpo alla credibilità dell’opposizione ucraina: da campione dell’apertura all’Europa e della “democratizzazione” del paese a «marionetta» in mano all’America (come suggerito dal canale YouTube che ha pubblicato la telefonata, con corredo di sottotitoli in russo).
Ecco i passaggi cruciali della telefonata. La voce attribuita alla Nuland e quella attribuita a Pyatt discutono delle poltrone nel prossimo governo ucraino:
(Voce attribuita a Pyatt): «Siamo in ballo. Il capitolo Klitschko è chiaramente quello più complicato (Vitali Klitschko è un ex pugile, tra i leader carismatici dell’opposizione). Specialmente l’annuncio che potrebbe diventare vice-premier e hai letto i miei appunti sui rischi di fare quel matrimonio in questo momento; per questo stiamo provando a farci un’idea molto in fretta su quale sia la sua posizione su questa cosa. Credo che il tuo argomento con lui – la prossima telefonata che devi organizzare – è esattamente lo stesso che hai presentato a “Yats” (Arseniy Yatseniuk, il “numero due” di Yulia Tymoshenko). Hai fatto bene a metterlo sulle spine a proposito della sua posizione in questo scenario. E sono contento della risposta che ti ha dato».
(Voce attribuita alla Nuland): «Bene. Non credo che “Klitsch” dovrebbe andare al governo. Non è necessario, non è una buona idea».
Pyatt: «Sì (…) fallo restare fuori (dal governo), deve fare i compiti a casa (…)».
Nuland: «Credo che sia Yats quello con l’esperienza economica, di governo. È lui… Ha bisogno che Klitsch e Tyahnybok (Oleh Tyahnybok, leader del partito della Liberà, anche lui all’opposizione) stiano fuori dal governo. Dovrà parlare con loro quattro volte a settimana, certo. Ma credo che se Klitsch entrasse al governo (…) non funzionerebbe. (…) Un’altra cosa, non so se te ne ho già parlato (…): quando ho parlato con (il sottosegretario generale dell’Onu) Jeff Feltman, aveva un altro nome (per il governo) da proporre al tipo dell’Onu, Robert Serry (ex ambasciatore olandese, inviato speciale dell’Onu in Ucraina). Te l’avevo già detto?»
Pyatt: «Sì, ho letto il tuo appunto».
Nuland: «Ok, (Feltman) ha messo d’accordo Serry e Ban Ki-moon: Serry potrebbe venire (in Ucraina) lunedì o martedì. Sarebbe ottimo, secondo me, per chiudere quest’accordo e ottenere l’aiuto dell’Onu per chiuderlo, e fanculo l’Unione europea».

Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
16 e 17-02-2014 - I dimostranti sgomberano una parte degli edifici occupati. Altri restano sotto il loro controllo. Entra comunque in vigore l’amnistia.

Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
18-02-2014 - Il parlamento si riunisce e l’opposizione chiede che venga messa in agenda la riforma della costituzione. Richiesta inascoltata. Gli esponenti dei partiti di minoranza e gli attivisti di Euromaidan escono dal perimetro di piazza Indipendenza e si dirigono verso il parlamento, cercando di esercitare il blocco. Scoppia il finimondo. 
Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
Scontri, zuffe, colpi d’arma da fuoco sia da parte dei gruppi radicali della protesta che delle forze di sicurezza.
Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
In serata i corpi speciali del ministero dell’interno stringono d’assedio piazza Indipendenza, ma non vanno allo scontro finale.
Sul terreno, al termine della giornata, si contano almeno venticinque vittime, in quella che è stata la più feroce giornata di scontri da quando è scoppiata, a novembre, la crisi politica più seria nella storia post-sovietica del paese. Nove delle vittime sarebbero poliziotti, lo ha riferito il ministero della sanità.@mat_tacconi

25-02-2014 - In Ucraina il giorno del governo ad interim, per l'ambasciatore ucraino all’Onu Sergeyev “nessun colpo di stato”. Mentre è caccia all'ex presidente Yanukovich, accusato di uccisioni di massa per la sanguinosa repressione delle proteste a Kiev, si attende la formazione del nuovo esecutivo. La Russia: illegittime le nuove autorità, terrorismo contro esponenti del deposto regime. Secondo l'agenzia Ria Novosti per la commissione elettorale non ci sono ostacoli legali per nessuno dei candidati capo dello Stato, inclusa Julia Tymoshenko.
La commissione centrale elettorale ucraina ha pubblicato un calendario online, che dà ai candidati tempo fino al 14 aprile per registrarsi per le elezioni presidenziali. Le votazioni sono previste per il 25 maggio. Secondo l'agenzia di stampa statale Ria Novosti il capo della commissione ha detto che non prevede ostacoli legali per nessuno dei candidati di cui si discute attualmente, inclusa l'ex premier Julia Tymoshenko. Sabato il Parlamento di Kiev ha rimosso Viktor Yanukovych dalla presidenza e ieri ha nominato come presidente ad interim Oleksandr Turchinov. Lo stesso giorno Tymoshenko è stata liberata dalla detenzione.
Arsenij Jacenjuk in piedi di fianco a
Oleksandr Turchinov.
Dal 26 febbraio 2014 Arsenij Jacenjuk è Primo ministro ad interim dell'Ucraina. Arsenij Jacenjuk è nato a Černivci il 22 maggio 1974 da genitori ucraini nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (l'attuale Ucraina). Iniziò a studiare all'Università di Černivci nel 1992, si è laureato nel 1996 e ha frequentato in seguito l'Istituto di Economia e Commercio di Černivci e l'Istituto Nazionale di Economia e Commercio di Kiev nel 2001. Dal dicembre 1992 al settembre 1997 è stato Presidente dell'ufficio legale "Jurek s.n.c.", situato a Černivci. Dal gennaio 1998 al settembre 2001 Jacenjuk ha lavorato nella banca "Aval" a Kiev. Dal settembre al novembre del 2001 Jacenjuk è stato Ministro dell'Economia della Crimea ad interim, e dal novembre dello stesso anno al gennaio 2003, Ministro dell'Economia della Crimea.
Dal novembre 2003 al febbraio 2005, Jacenjuk è primo vicepresidente e capo della Banca Nazionale dell'Ucraina, sotto Sergij Tygypko. Dopo che quest'ultimo ha lasciato la Banca Nazionale, Arsenij Jacenjuk è messo a capo della Banca. Dopo che Vasyl' Cuško fu nominato nuovo governatore dell'Oblast' di Odessa, Cuško chiese ad Jacenjuk di diventare vice-governatore, e ricoprì tale carica dal 9 marzo al settembre 2005.
Dal 27 settembre 2005 al 4 agosto 2006 Arsenij Jacenjuk fuè stato Ministro dell'Economia dell'Ucraina, all'interno del governo di Jurij Jechanurov. Arsenij Jacenjuk guidò poi le trattative riguardo all'ingresso dell'Ucraina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, e dirige anche la commissione Ucraina-Unione Europea. Dal 20 settembre 2006, Arsenij Jacenjuk è stato primo vice del Capo dell'Amministrazione della Presidenza dell'Ucraina, e rappresentante del Presidente presso il Consiglio dei ministri.
Jacenjuk fu proposto per la carica di Ministro degli Esteri dal Presidente dell'Ucraina Viktor Juščenko, e la Verchovna Rada lo nominò il 21 marzo 2007con 426 voti su 450, ma solo dopo che il Parlamento ucraino negò per due volte la fiducia a Volodymyr Ohryzko. Alle elezioni anticipate del 30 settembre 2007, Jacenjuk fu eletto con Blocco Nostra Ucraina (era il terzo in lista), e il 3 dicembre 2007 è stato nominato alla carica di Presidente della Verchovna Rada da parte della coalizione democratica, costituita dal Blocco Julija Tymošenko e dal Blocco Nostra Ucraina. Il 4 dicembre 2007, Jacenjuk è stato eletto Presidente del Parlamento; la sua candidatura è stata l'unica esaminata, ed egli ha ottenuto 227 voti a favore (da parte della coalizione democratica, poiché l'opposizione si è astenuta dal voto). Durante la crisi politica ucraina del 2008, Jacenjuk si è dimesso il 17 settembre, e il 12 novembre 223 su 226 deputati accettarono, tramite voto, le sue dimissioni dalla carica di Presidente del Parlamento. Il voto si svolse tramite il normale sistema di votazione del Parlamento, e non tramite voto segreto, come stabilito dai regolamenti parlamentari. Dopo le dimissioni, Jacenjuk disse ai giornalisti che avrebbe costruito una nuova forza politica "per cambiare la nazione". Il 21 novembre 2008 Jacenjuk fu rimosso dal Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa dell'Ucraina da parte del Presidente dell'Ucraina Viktor Juščenko.
A seguito delle proteste di Majdán Nezaléžnosti di una parte della popolazione ucraina, nel gennaio 2014, il primo ministro Mykola Azarov, il 28 gennaio rassegna le dimissioni dalla carica e si trasferisce in Austria, mentre a febbraio, con la protesta che infiamma, il presidente Viktor Janukovyč si dà alla fuga.
Il parlamento viene annullato e il 26 febbraio 2014 i capi della protesta saliti al potere incaricano come nuovo primo ministro ad interim Arsenij Jacenjuk, con il compito di traghettare la nazione fino alle elezioni presidenziali di maggio.

06-03-2014 - Vecchie ferite e nuove preoccupazioni, in un’Europa dove la destra estrema è in crescita. E’ una storia vecchia di oltre 70 anni ma sempre viva nella memoria di un paese dove nazionalismo e Seconda Guerra Mondiale sono sempre rimasti temi divisivi, ammette lo stesso sito russo RT. Ed è tornata più che mai alla ribalta oggi che gli ultranazionalisti neoNazisti e russofobi di Svoboda (Libertà)e di Pravy Sektor (Right Sector, Settore Destro o Ala Destra), dopo aver guidato la protesta di Maidan hanno conquistato ruoli di primissimo piano nel nuovo governo e controllano Forze Armate, Polizia, Giustizia e Sicurezza Nazionale. Abbastanza da preoccupare la Russia, certo, ma forse anche l’Europa dove ci si accinge a votare fra qualche mese e dove i partiti di destra estrema, più o meno rivestiti di panni rispettabili, stanno conquistano posizioni tra gli euroscettici.
Stepan Bandera al centro della foto.
Al centro della disputa è la figura di Stepan Bandera leggendario combattente per la libertà e l’indipendenza ucraina per i nazionalisti ucraini di cui sopra, ma collaboratore della Germania di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale con la quale si alleò in funzione anti sovietica pur di conquistare l’indipendenza del suo paese. La sua organizzazione fascista OUN-B, contribuì all’Olocausto facendo uccidere migliaia di Ebrei e Polacchi e dopo la guerra si batteva per un’Europa totalitaria e etnicamente pura mentre un movimento affiliato portava avanti un fallimentare tentativo di sollevazione contro l’URSS, tanto che Bandera (che secondo alcune fonti era diventato un agente dell’MI6) alla fine venne fatto fuori dal KGB – scrive il sito progressista californiano Salon.com, in un post (25/2/2014) intitolato “ Gli Usa in Ucraina appoggiano i neo-Nazisti?” E non è l’unico né il primo a esprimere perplessità e porsi interrogativi del genere - Vedi il Guardian già il 22/1 ( L’estrema destra ha infiltrato il movimento di protesta, che non riflette tutti), TIME il 28/1 ( La protesta di Kiev sequestrata da gruppi di estrema destra) e International Business Times (19/2), e Business Insider, che linka persino il Jerusalem Post e Counterpunch.org (vari post), fino ai più “alternativi” Infowars, Global Research e il sito di La Rouche ripreso in italiano da Movisol e altri: http://www.informarexresistere.fr/2014/02/21/loccidente-sta-sostenendo-un-golpe-neonazista-in-ucraina/

Carta delle maggioranze etnico-
linguistiche in Ucraina e i dati
della repubblica di Crimea.
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16-03-2014 - Si tiene il referendum in Crimea. Si chiede agli abitanti della regione autonoma dell’Ucraina se intendono ripristinare l’assetto degli anni Novanta (c’era un tasso di autonomia ancora maggiore) o se puntano a procedere sulla strada dell’indipendenza. Il quesito definitivo è diverso da quello proposto originariamente, in cui si domandava se si volesse mantenere l’attuale grado di autogoverno o se al contrario si preferisse tornare agli anni Novanta. La variazione, accompagnata dalla convocazione alle urne anticipata rispetto a quella prescelta in origine (25 maggio), suggerirebbe che c’è fretta di chiudere la conta e procedere con lo strappo. Il risultato della tornata è chiaro: il 97 per cento di chi ha votato ha scelto di secedere dall’Ucraina.

La Crimea, le sue piattaforme del gas, i suoi gasdotti e le sue
riserve di gas. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
LA STORIA RECENTE E IL GRANDE PASSATO - Nel primo biennio dopo l’indipendenza emersero
tensioni già nel 1992, quando gruppi nazionalisti filorussi riunitisi intorno al Movimento repubblicano di Crimea dichiararono l’indipendenza e fu indetto anche un referendum per la separazione da Kiev. I moderati di Nikolai Bagrov riuscirono però ad avere la meglio e le richieste separatiste finirono nel nulla. Nel 1994 il conflitto tra centro e periferia però riesplose quando le elezioni presidenziali locali condussero al potere Yuri Meshkov, legato alla Russia, e rappresentante dell’ala dura indipendentista, vittorioso contro Bagrov con oltre il 72% delle preferenze. Per quasi due anni Simferopoli e Kiev furono ai ferri corti, sino a che Meshkov, cui venne a mancare alla lunga il sostegno delle élite locali, perse definitivamente il duello per l’indipedenza con l’arrivo della nuova costituzione che dava alla Crimea una certa autonomia, ma la definiva parte integrante del territorio ucraino. Da allora, se la questione della separazione non è mai tornata veramente come prospettiva reale: sino a oggi. Non sono però mancati gli episodi che periodicamente hanno ricordato come nella penisola gli orologi siano orientati più sul fuso di Mosca che non su quello di Kiev. Le proteste in Crimea contro le esercitazioni della Nato sul Mar Nero sono una costante dell’ultimo decennio, unite alle tensioni sempre più frequenti tra nazionalisti filorussi e tatari, su cui pesa l’ombra del passato. Le radici del conflitto nascono nel 1944, quando Stalin fece deportare i tatari di Crimea con l’accusa di aver cooperato con i nazisti. Finiti in Siberia e in Asia centrale, i tatari hanno cominciato a ritornare a partire dagli anni ottanta e la minoranza musulmana oggi conta circa 250mila persone. Politicamente contrari ad un’eventuale annessione alla Russia, alle elezioni parlamentari del 2012 i tatari si sono schierati contro il Partito delle regioni, entrando nelle liste di Patria di Yulia Tymoshenko.
LA CRIMEA NELLA STORIA D’EUROPA – Sul Corriere della Sera Sergio Romano ricorda gli avvenimenti più importanti della storia d’Europa che sono passati per la Crimea:
“Fino alla seconda metà del XVIII secolo la Crimea era un khanato tataro, residuo storico dell’Orda d’oro (da cui la Russia era stata occupata nel XIII secolo) e vassallo dell’Impero ottomano. Conquistato da Caterina la Grande nel 1784, permise alla Russia di rafforzare la sua presenza nel Mar Nero e divenne la principale base militare della sua flotta meridionale. La guerra di Crimea e l’assedio di Sebastopoli, nel 1854, confermarono che quello era il ventre molle dell’Impero, la provincia che la Russia non poteva abbandonare senza rinunciare alla propria sicurezza. Una delle condizioni più umilianti del Trattato di Parigi, dopo la fine della guerra di Crimea, fu per l’appunto la chiusura delle basi, imposta dai vincitori. La clausola fu revocata prima della fine dell’Ottocento, ma dopo la Rivoluzione d’Ottobre, durante la guerra civile, la Crimea divenne uno dei principali contrafforti dell’esercito bianco del generale Denikin e, più tardi, del generale Wrangel. Riconquistata dai Rossi, continuò ad avere per lo Stato sovietico la stessa importanza politica e militare che aveva avuto per lo Stato zarista.”
E infine ricorda gli interessi di Putin in zona:
Crimea: nave russa a Sebastopoli.
“Vladimir Putin non ha abbandonato questa linea. Ha fatto la guerra cecena per impedire la nascita di uno Stato musulmano a nord del Caucaso, ma ha dato in cambio denaro e autonomia. Ha punito le aspirazioni atlantiche della Georgia con la creazione di due piccoli Stati vassalli (Abkhazia e Ossezia), ma soltanto dopo la provocazione militare di Mikhail Saakashvili. Ha cercato di impedire che l’Ucraina, insieme alla Crimea, venisse attratta verso l’Unione Europea e domani, probabilmente, verso la Nato. Ma non credo che tema il cambiamento dei confini meno di Eltsin. L’Unione Europea, in queste circostanze, ha di fronte a sé due scelte possibili. Può sostenere le piazze ucraine e accettare di conseguenza la possibilità che il Paese si spacchi in quattro pezzi: l’Ucraina di Leopoli, quella di Kiev, quella russofona e una Crimea inevitabilmente soggetta a una sorta di protettorato russo. Può invece cercare con la Russia un accordo che salvi l’integrità dello Stato e lo aiuti economicamente a uscire dalla crisi. Speriamo che si ricordi, prima di prendere una decisione, ciò che accadde quando la Germania, nel dicembre 1991, riconobbe troppo frettolosamente l’indipendenza della Slovenia e della Croazia.”

17-03-2014 - L’Unione europea vara sanzioni nei confronti di politici e alti burocrati filo-russi della Crimea, ma anche di Mosca. Sono misure che riguardano visti diplomatici e beni all’estero. Non così incisive, insomma. Nei giorni successivi l’elenco dei personaggi colpiti verrà ampliato, ma senza conseguenze così notevoli. La cautela europea è condizionata dal fatto che tra il blocco comunitario e la Russia ci sono i ballo grossi interessi economici, come energetici. Berlino è tra le capitali europee che vanta con Mosca i rapporti più serrati. Non a caso gli industriali tedeschi hanno invitato Angela Merkel a evitare il pugno duro con Putin.

18-03-2014 - Discorso di Putin. Il presidente russo difende quanto accaduto in Crimea, senza indugi. Dopodiché firma il decreto con cui la penisola ucraina entra nella Federazione russa. Il parlamento di Simferopoli, il capoluogo della Crimea, aveva chiesto nero su bianco, prima che si tenesse il referendum, di aderire alla Russia.

21-03-2014 - Consiglio europeo. L’Ue firma con l’Ucraina la parte politica degli Accordi di associazione, pacchetto di misure che agevolano economia e commerci, con l’intento di approfondire i legami tra le parti. Questi stessi provvedimenti erano stati negoziati dall’ex presidente Viktor Yanukovich, che poi li respinse il 21 novembre, dando il “la” alla protesta popolare, che nel corso dei giorni ha cambiato segno: da tendenzialmente europeista a chiaramente nazionalista, dalla critica a Yanukovich alla priorità di cacciarlo.
L’Ue e il governo ucraino hanno evitato, al momento, di blindare anche la parte economica degli Accordi di associazione. Kiev ha voluto prenderla con calma, tentando di rassicurare i grandi potentati economici e le regioni dell’est, dove si trova una grossa fetta dell’apparato industriale nazionale. Già con Yanukovich era emerso come le riforme e le liberalizzazioni doganali previste dagli Accordi di associazione avrebbero potuto avere contraccolpi sull’industria, pesante e lenta di riflessi, del paese.

24-03-2014 - Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Germania e Giappone decidono di boicottare il G8, fintanto che la politica russa sull’Ucraina non cambierà di segno. In altre parole, è un’esclusione di Mosca dal consesso dei potenti. Il Cremlino incassa, senza esibire particolare dispiacere.
Da  http://www.europaquotidiano.it/2014/03/27/obama-offre-il-gas-americano-alleuropa-con-qualche-contropartita/. L’ultima volta di Barack Obama in Europa – quel discorso davanti alla folla della porta di Brandeburgo, a Berlino – s’era chiusa con una mano tesa alla Russia, l’invito a superare «le posture della Guerra fredda» e a lavorare insieme per la riduzione degli arsenali nucleari. Dieci mesi fa appena. Ieri, nella sua prima visita a Bruxelles da presidente, Obama ha scelto un repertorio classico (e sempre efficace): quello dei valori «universali» che uniscono America ed Europa. Gli stessi valori – a partire dal rispetto del diritto internazionale – che Mosca avrebbe violato con l’annessione della Crimea.
Negli Stati Uniti sono in molti a segnalare che la crisi in Ucraina sta costringendo la politica americana a rivedere la sua agenda geostrategica. Nei suoi primi cinque anni l’amministrazione Obama ha sbandierato la politica del “pivot to Asia”, un’attenzione prioritaria di Washington alla regione del Pacifico. Ora Obama si accorge di dover rassicurare anche gli alleati europei, preoccupati soprattutto dalle possibili conseguenze economiche di un raffreddamento dei rapporti con la Russia. E così Obama si è presentato a Bruxelles con la promessa che ci penseranno loro, gli Stati Uniti, a compensare il ridotto afflusso di gas dalla Russia all’Unione europea. Come? Aumentando le esportazioni di gas naturale dall’America verso l’altra sponda dell’Atlantico. Non proprio un favore “disinteressato”.
Tanto più che il presidente ha spiegato che, per facilitare l’arrivo del gas americano sui mercati europei, bisognerà approvare nei tempi più rapidi possibili la nuova partnership transatlantica di libero scambio (Ttip l’acronimo). Peccato che in Europa non manchino i critici di questo accordo, accusato di consentire alle grandi aziende statunitensi di scavalcare la (spesso restrittiva) legislazione europea in fatto di tutela ambientale e dei consumatori.
Obama ha poi aggiunto che, se l’Europa vuole continuare a usufruire della “protezione” americana in caso di un’escalation della tensione con Mosca, non può pensare di tagliare troppo la sua spesa per la difesa (un riferimento anche ai piani del governo italiano di tagliare il budget del ministro Pinotti?). «La libertà non è gratis», ha detto il presidente americano incontrando i vertici della Nato.
Le rassicurazioni di Obama basteranno a convincere l’Unione europea? Non è detto. La prospettiva di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia – sensata o meno che sia, in un’ottica di lungo periodo – può richiedere tempi lunghi, costi sensibili e nuove infrastrutture (vedi alla voce rigassificatori). Mosca invece ha già cominciato a piazzare il suo gas sui mercati cinesi, a prezzi stracciati. Appena prima di partire per Roma, ieri sera, è riuscito a incontrare i suoi omologi di Giappone e Sud Corea, arrivati a Bruxelles per l’occasione. E sua moglie Michelle già da qualche giorno è in Cina, quasi a bilanciare la presenza di Barack in Europa. L’idea del pivot to Asia, a quanto pare, non è ancora tramontata. #@lorbiondi

- Ma ecco come mai gli USA pensano di sostituirsi alla Russia nell'approvvigionamento di gas all'Europa:
http://www.greenstyle.it/shale-gas-o-gas-di-scisto-cosa-ce-da-sapere-11525.html. Shale Gas o gas di scisto: cosa c’è da sapere. Con il termine di shale gas, o gas di scisto in italiano, si intende il gas naturale intrappolato nelle rocce poco porose ad alta profondità. Si tratta di gas a tutti gli effetti, in buona parte metano, che però non si trova in un normale giacimento e, di conseguenza, non basta trivellare un pozzo tradizionale per tirarlo fuori. Per estrarlo si usano due tecniche: la trivellazione orizzontale e il fracking idraulico, anche detto hydraulic fracturing. Entrambe sono tecniche già note all’industria petrolifera da diversi anni, ma solo di recente si è scoperto che usandole insieme si può pompare dal sottosuolo il gas intrappolato negli scisti e altri idrocarburi non convenzionali.
Negli ultimi anni lo shale gas è stato il protagonista indiscusso degli scenari energetici, soprattutto negli Stati Uniti dove è partita una nuova corsa all’oro che ha portato alla trivellazione di centinaia di pozzi per estrarre gas di scisto. Per comprendere bene la questione shale gas bisogna chiedersi quanto ce ne sia e dove nel mondo, quali ripercussioni sull’ambiente possano avere le trivellazioni orizzontali e il fracking e quale impatto sulle politiche di riduzione delle emissioni di CO2 avrà lo sviluppo di questo gas.
Una vera e propria mappa dello shale gas non esiste. Rispetto al gas convenzionale, contenuto in una sacca naturale sotto terra, il gas di scisto è difficile da quantificare finché non lo si estrae. Essendo intrappolato nella roccia, infatti, è quasi impossibile avere una fotografia realistica di quanto gas contenga un giacimento di shale gas. Le stime dell’Unione europea parlano di circa 450 trilioni di metri cubi, cioè 450.000 miliardi, a livello mondiale...
...Il motivo per cui lo shale gas è tanto contestato è sintetizzabile in queste due parole. L’accoppiata tra le trivellazioni orizzontali e il fracking idraulico, infatti, oltre a permettere l’estrazione di questo gas è fortemente sospettata di causare danni (o quanto meno seri rischi) al sottosuolo. Capire come funziona il processo aiuta a comprendere i rischi. In un pozzo tradizionale la trivella scende in verticale, accompagnata da grandi quantità di fluido di trivellazione che diminuisce l’attrito, raffredda l’attrezzatura e tiene in pressione il pozzo.
Solitamente la trivella, nella prima parte del suo percorso, attraversa una o più falde acquifere e per questo si usa la tecnica del “casing”. Una sorta di cappotto di acciaio e cemento inserito nel pozzo per renderlo a tenuta stagna e impedire che il petrolio, il gas o il fluido di trivellazione entrino a contatto con l’acqua dolce destinata all’uso umano inquinandola gravemente. Per estrarre lo shale gas a tutto questo si aggiunge una seconda e una terza fase. Una volta fatto il buco in verticale la trivella viene fatta progressivamente deviare finché non si trova a lavorare in orizzontale, rispetto al piano del terreno, in direzione del giacimento roccioso. Una volta raggiunto lo scisto si inserisce dell’esplosivo nel canale scavato dalla trivella, al fine di fratturare la roccia creando delle grosse fessure. Fatto ciò si pompa ad alta pressione dell’acqua con sabbia e agenti chimici al fine di microfratturare ulteriormente lo scisto e liberare il gas che contiene. Questa procedura viene ripetuta più volte facendo procedere a passo di gambero la trivella, facendo più esplosioni e più pompaggi per ogni condotto. E, dalla trivellazione verticale, si procede a fare altre deviazioni orizzontali in modo da fratturare il più possibile la roccia.
In questo modo, da un solo pozzo visibile in superficie, si possono realizzare anche dieci vie d’uscita per il gas. Ognuna delle quali comporta varie cariche di esplosivo e conseguente pompaggio del fluido. Questo video, meglio delle parole, spiega il procedimento: https://www.youtube.com/watch?v=lB3FOJjpy7s

27-03-2014 - L’Assemblea generale dell’Onu approva una risoluzione che bolla come illegale l’adesione della Crimea alla Federazione russa.

01-04-2014 - La Nato sospende la cooperazione militare e civile con la Russia. Nel frattempo, nei giorni precedenti, Yulia Tymoshenko e Petro Poroshenko si sono registrati ufficialmente come candidati alle presidenziali, in calendario il 25 maggio. Saranno proprio loro a giocarsela, presumibilmente. Sempre che il voto si tenga, essendo la situazione complessiva così confusa e drammatica. Lo è anche quella dell’economia. Kiev è a pezzi e non si capisce se i 30 miliardi di dollari che nel complesso Unione europea e Fondo monetario stanzieranno serviranno a rimettere in sesto la baracca.
La Tymoshenko, scarcerata subito dopo il collasso del regime di Yanukovich, aveva inizialmente annunciato che non avrebbe ambito a cariche. Poroshenko è stato uno dei fondatori del Partito delle Regioni, guidato negli ultimi anni da Yanukovich. Poi, durante la rivoluzione arancione, ha appoggiato Viktor Yushchenko, che fu eletto presidente. Ha servito come ministro degli esteri nel governo Tymoshenko, ma anche – sempre come ministro, pur se per un periodo limitato – durante la presidenza Yanukovich. Poroshenko è un oligarca. Ha interessi nell’industria dolciaria e nei media.

06-04-2014 - I gruppi filo-russi manifestano a Donetsk, occupano la sede del governatorato e chiedono un referendum sulla falsa riga di quello tenutosi in Crimea. Donetsk è la roccaforte industriale del paese e la roccaforte elettorale del Partito delle Regioni. Si trova nell’est del paese. Le stesse scene – occupazione e rivendicazione del referendum – si verificano a Lugansk e Kharkhiv, altri due centri urbani della fascia orientale dell’Ucraina. Kharkhiv è la seconda città più grande del paese, dopo la capitale Kiev.
Nel corso della crisi ucraina i gruppi filo-russi dell’est si sono dati molto da fare. Queste iniziative, all’unisono, indicano l’inizio di una nuova fase dell’azione, che si rivolge contro il governo di Kiev e risulta presumibilmente eterodiretta da Mosca. Se non direttamente infiltrata, spiega qualcuno.

Oleksandr Turchynov
10-04-2014 - Il presidente provvisorio dell’Ucraina, Oleksandr Turchynov, firma una legge sulla “lustrazione”.
Riguarda i giudici. Potranno essere chiamati a spiegare di fronte a una commissione i loro presunti legami con l’amministrazione Yanukovich. In cantiere ci sarebbero altre misure analoghe, su diverse altre cariche della pubblica amministrazione.
Da  http://www.huffingtonpost.com/2014/02/25/oleksandr-turchynov-baptist_n_4854555.html traducendo dall'inglese l'articolo del 21 aprile:
Oleksandr Turchynov, pastore battista, è stato incaricato come presidente facente funzione dell'Ucraina.
Dopo mesi di proteste violente, l'Ucraina ha avuto un week-end tromba d'aria che ha impostato il paese su un percorso che potrebbe cambiare radicalmente il suo futuro nei prossimi anni .
Il parlamento ha votato per mettere sotto accusa il presidente Viktor Yanukovich, che fuggì da Kiev dopo due dei giorni più sanguinosi della storia recente dell'Ucraina; Yulia Tymoshenko, personalità la politica, è stata rilasciata dalla prigione dopo più di due anni dietro le sbarre e prontamente ha annunciato la sua decisione di correre per la presidenza .
Nel frattempo, Oleksandr Turchynov, un pastore e il braccio destro della Tymoshenko, è stato eletto presidente ad interim fino al 25 maggio.
Sistemi di turbolenze politiche e di campagna a parte, l'uomo ora al centro non è un politico mediocre. Primo, è un romanziere noto per diversi thriller psicologici, uno dei quali è stato trasformato in un film e proposto agli Oscar nella categoria di lingua straniera. Turchynov ha anche studiato metallurgia , secondo la BBC , e ha agito come capo di una delle prime agenzie di stampa indipendenti dell'Ucraina .
Forse la cosa più interessante, però, è che a differenza della prevalenza ortodossa e cattolica dell'Ucraina, Turchynov è un pastore battista . Egli può essere in minoranza , ma non è affatto il solo.
Secondo l'ucraino think- tank Centrum il paese è per il 2,4% protestante, e la chiesa battista, in particolare, è cresciuta in importanza in Ucraina dai giorni sovietici, quando le chiese battiste ed evangeliche erano illegali .
La Federazione battista europea ( EBF ), vede la nomina di Turchynov come una vittoria non solo per i battisti in Ucraina, ma per il cristianesimo, in generale, nel Paese. In una dichiarazione di Domenica l'organizzazione ha detto:
“Il nostro fratello in Cristo e ministro di una delle Chiese Battiste di Kiev, il Dr. Oleksandr Turchynov , leader parlamentare di opposizione , è stato eletto presidente del parlamento ... Durante tutti questi giorni di proteste e scontri la comunità cristiana in Ucraina è stata la luce e il sale per entrambe le parti. I medici, infermieri, cuochi, studenti e altri gruppi cristiani hanno aiutato ogni volta che c'era un bisogno. Questa situazione ha indotto le chiese e perfino le confessioni a unirsi in preghiera e digiuno per la pace e l'intervento di Dio. La gente ha cominciato a gridare a Dio e anche il supporto TV ha parlato del ruolo della chiesa e Scritture citati ... Che l'Ucraina ha bisogno non è solo un cambiamento di persone autorevoli, ma un cambiamento del sistema e le relazioni delle autorità ordinarie cittadine. L'Ucraina ha bisogno di amore, di misericordia e di perdono. L'Ucraina ha bisogno di Cristo!
L' EBF può essere di destra in marcatura questo come un punto di svolta nel panorama religioso dell'Ucraina. Il presidente messo sotto accusa Viktor Yanukovich prima salutato dalla chiesa ortodossa ucraina, ma negli ultimi mesi turbolenti la chiesa ha preso le distanze dal governo di Yanukovich.
Sacerdoti ortodossi hanno mantenuto una presenza visibile a Kiev nel corso delle proteste, offrendo preghiere a manifestanti e polizia allo stesso modo. La Radio Vaticana ha anche riferito la scorsa settimana che la Chiesa ortodossa ucraina aveva rimosso preghiere per Yanukovich e il suo governo da loro liturgia."

11-04-2014 - Continua la protesta dei filo-russi a est. A Donetsk e Lugansk le sedi dei governatorati restano occupate. Il primo ministro ucraino, Arseniy Yatseniuk, propone alle regioni orientali un’ampia autonomia amministrativa. L’aveva già fatto a fine marzo, nel corso di un intervento diretto proprio ai cittadini delle regioni dell’est. La differenza è che stavolta Yatseniuk ha parlato da Donetsk, dove si è recato in visita. Un gesto, forse tardivo, con cui il primo ministro ha cercato di dimostrare che il governo centrale non è rappresentativo delle sole regioni dell’ovest: quelle dove si è formato il pensiero nazionalista che ha informato la rivoluzione; quelle che hanno fornito più attivisti e militanti, inclusi i settori dell’estrema destra, alla rivolta contro Yanukovich.

12-04-2014 - Arriva a Kiev il direttore della Cia, John Brennan. La notizia suscita stupore. Secondo diverse testate la visita del numero uno dell’agenzia di intelligence americana, che ha conferito con gli esponenti del governo ucraino, si è concentrata sulla necessità di favorire un maggiore scambio di informazioni e una più solida collaborazione tra Washington e Kiev, sul piano dei servizi. Essendo le forze armate ucraine inadeguate al confronto con quelle russe, si punta sul rafforzamento della qualità dell’intelligence.

15-04-2014 - Kiev lancia un’offensiva anti-terrorismo nelle regioni dell’est, inviando mezzi militari e soldati. In questi giorni si sono verificati degli scontri, con alcune vittime. Ieri tre filo-russi sono stati uccisi a Mariupol, nella regione di Donetsk. C’è l’impressione che tanto Kiev quanto Mosca abbiano alzato la posta in gioco proprio alla vigilia di questi negoziati di Ginevra. Questo non toglie che la situazione è delicatissima.

Milizie ucraine con mezzi blindati,
pubblicata il 21 aprile.
17-04-2014 - A Ginevra, tavola rotonda tra Russia, Stati Uniti, Unione europea e Ucraina. L’obiettivo è ricucire gli strappi che stanno dilaniando l’ex repubblica sovietica. Compito molto arduo, considerando anche quello che sta accadendo nell’est del paese. Le forze armate di Kiev sono intervenute allo scopo di bloccare l’offensiva dei gruppi armati filo-russi, infiltrati secondo i più da agenti e militari di Mosca. Ci sono stati scontri. Ci sono stati morti, a quanto pare.
La crisi ucraina sta conoscendo un’ulteriore accelerazione. Ma come e perché si è giunti fino a questo punto? Il referendum indipendentista in Crimea sembrava che dovesse chiudere i giochi, e invece no. Mentre in Svizzera ci si siede al tavolo, Putin parla a Mosca. Dice che non vorrebbe usare la forza nell’est ucraino e che l’invio delle truppe da parte di Kiev è un’azione criminale. Ma ammette che nell’operazione politica che ha portato la Crimea alla secessione, i militari di Mosca, contrariamente a quanto affermato finora, hanno avuto un ruolo. Hanno offerto assistenza e copertura alle forze di autodifesa della Crimea. @mat_tacconi

La percentuale delle persone
russofone in Ucraina nel 2001.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Da questo blog:
21-04-2014 - Sul web gira un video terribile, con il resoconto di un crimine che, se veritiero, confermerebbe l'orientamento nazi-fascista di gruppi di militanti governativi ucraini filo-Ue-USA:
http://www.infonacional.com/2014/04/video-supuestos-nazis-ucranianos-le.html#more
Traducendo l'articolo in lingua spagnola:
"Ieri è stato rilasciato un video in cui, secondo quanto riportato dalla stampa russa, presunti ucraini neo-nazisti appartenenti all'organizzazione "Pravi Sektor" tagliano la gola dell'ex capo della polizia di Donetsk, in presenza della moglie che piange impotente mentre il marito viene ucciso."
Poi c'è il video.
"Le immagini dure contrastano drammaticamente con la falsa apparenza che continuano ad offrire i media del blocco NATO sul governo ucraino e si tratta in realtà di un colpo di stato a Kiev.
In particolare per i principali media europei (in Italia "Repubblica ", "La Stampa" , il "Corriere della Sera", RAI , SKY TV, ecc. ) e per tutti i diffusori di propaganda fedeli all'America, il colpo di stato filonazista di Kiev ha instaurato un governo legittimo, e il nemico ad essere annientato sarà il governo russo , e in particolare Vladimir Putin, che è costantemente demonizzato in tutte le televisioni e la stampa filo-americane, senza eccezioni . Clinton ha definito Putin il "nuovo Hitler degli anni 2.000".
Tuttavia, possiamo scommettere che pochi media saranno informati della barbarie mostrata in questo video da parte di questi neo-nazisti che concorrono al governo ucraino con il sostegno degli Stati Uniti , dell' UE e della NATO .
Avvertiamo che le immagini sono estremamente dure e contengono violenza grafica, così abbiamo deciso di non mostrare il video sul nostro sito web per non ferire i sentimenti della gente, ma quelli che desiderano avere conferma della barbarie di queste persone che i media occidentali descrivono come " democratici" può farlo al seguente link: http://www.infonacional.com/2014/04/video-supuestos-nazis-ucranianos-le.html#more
Sarebbe opportuno, tuttavia, che se il video sembrasse autentico, Catherine Ashton (addetta alle Relazioni esterne della UE) e Manuel Barroso, funzionari dell'UE, andassero a contattare il nuovo governo ucraino.
Va notato che i metodi utilizzati da questi gruppi (bastone e tagliare il capo dei nemici " infedeli ") sono esattamente gli stessi dei cosiddetti "ribelli siriani ", in realtà mercenari provenienti da diversi paesi, arabi e non arabi , tra cui un numeroso gruppo islamico ceceno, lo stesso la cui presenza è stata segnalata nel Maidan al momento dei combattimenti . Non per nulla le autorità russe avevano denunciato il pericolo che questi gruppi stessero cercando di dirigersi in Siria, nel Caucaso e in Ucraina per organizzare attentati e attacchi contro obiettivi russi, come è recentemente accaduto. Anche nel caso dei mercenari che operano in Siria è sempre la mano degli Stati Uniti e dei suoi alleati (Francia, Hollande in primo luogo ), che offre armi , attrezzature e formazione per i militanti infiltrati nel paese dalla Turchia per rovesciare il governo di Assad, ritenuto ostile agli interessi statunitensi.
Naturalmente è importante sottolineare che la propaganda occidentale ha descritto tempo fa questi "ribelli" supposti come " democratici che combattono per i diritti umani ", ma in seguito , per la chiara evidenza della loro ferocia, li supporta meno (dopo tre anni di conflitto), poiché comprendono che la realtà è diversa da quello che descrivevano. Ci chiediamo se lo stesso accadrà per il colpo di stato dell'Ucraina perpetrato da gruppi di neo-nazisti che operano sotto il controllo del governo di Kiev."

Tutto questo non fa presagire nulla di buono: dopo i conflitti etnici nella ex Yugoslavia e in Kossovo, conseguenti ad anni di integrazione nei regimi "comunisti", dove l'anti-comunismo si è rivelato un revival della criminalità nazi-fascista appoggiata da Germania e Francia in UE e USA, non si pensi che la Russia post-comunista sia così disponibile a finire come Iraq, Libia e Siria o come l'Afganistan... li dove è iniziato il crollo dell'URSS, convinta di contenere, con il bastone ad alcuni e la carota ad altri, l'integralismo islamico.

Dragone cinese.
29-04-2014 - Addio alla supremazia economica e finanziaria ultradecennale degli Usa, che stanno per perdere il loro primato e si apprestano a consegnare alla Cina lo scettro di prima economia al mondo.
Un sorpasso che avverrà molto prima del previsto 2019, forse già quest'anno. È quanto emerge - riporta il Financial Times - da uno studio dell'International Comparison Program della Banca Mondiale, aggiornato per la prima volta dal 2005. Gli Stati Uniti perderanno il primo posto che detengono dal 1872, quando avevano superato la Gran Bretagna. Il terzo posto spetta invece all'India. C'è chi vede in questo rapido rivolgimento solo un pericolo, mentre sarebbe opportuno rimarcarne le opportunità e gli aspetti positivi. Rimangono, soprattutto riguardo alla Cina, numerosi pregiudizi negativi. due secoli fa il Pil di paesi come la Cina o l'India era superiore a quello dell'occidente e oggi l'Asia ritrova nel suo insieme una posizione naturale considerando anche i trend demografici. Inoltre, riguardo alla Cina, non bisogna mai dimenticare che nel corso della sua millenaria civiltà non ha mai invaso un paese vicino (Tibet a parte), accontentandosi in alcuni casi di un riconoscimento formale della superiorità dell'imperatore. Piuttosto vanno considerate le opportunità enormi per i mercati e i commerci globali che ritrovano alcuni miliardi di potenziali consumatori in soli trenta anni di sviluppo impetuoso, con la creazione di una classe media di centinaia di milioni di individui. Una nuovo ceto di super ricchi è poi pronto ad investire all'estero. La salute di un economia si giudica anche dalla capacità di attrarre questi investimenti e noi europei ne abbiamo grande bisogno. L'altra paura riguarda il sistema politico non democratico di alcune delle nuove potenze e il loro alto tasso di nazionalismo. Il confronto, soprattutto sulla democrazia sarà serrato, ma l'occidente dovrà probabilmente abbandonare l'idea che i nostri sistemi democratici con il loro corollario di diritti, non potranno essere imposti né con la forza né con la pretesa di un loro valore universale indiscutibile. Meglio insistere sull'efficacia di tali valori, soprattutto oggi, in un mondo globalizzato che non può fermare né le idee ne le informazioni. Il caso della Cina è in questo senso emblematico: il potere rimane ben saldo nelle mani del Partito Comunista, cosa che ha garantito rapidità e capacità di previsione. In realtà grazie alla trasformazione degli ultimi anni, i cinesi godono di libertà impensabili fino a pochi anni orsono. Finora ha avuto successo un compromesso tra benessere economico e monopolio del potere da parte del Partito. Ma l'impalcatura scricchiola.
Cina-Italia: l'antica via della Seta, da: http://www.stratfor.com/
analysis/chinas-ambitions-xinjiang-and-central-asia-part-1
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Le autorità cercano invano di controllare Internet, ma un suo blocco risulta controproducente per l'economia. Così sulla rete passano denunce e informazioni riservate costringendo il Partito a rispondere. La nuova leadership ha lanciato inoltre una lotta senza quartiere alla corruzione, ma in mancanza di un potere giudiziario autonomo la battaglia diventa lotta intestina di potere. Anche le riforme economiche sembrano impossibili senza la separazione tra politica, banche, economia: le duecento aziende di stato più grandi del paese, oggi da trasformare radicalmente per garantire efficienza e accesso al credito al settore privato, sono in mano ad altrettanti clan familiari dei leaders del Partito e dello Stato. Il primo riguarda una presunta tendenza egemonica dell'“Impero di mezzo” con conseguenze sull'equilibrio mondiale in termini di sicurezza. Ci si dimentica però che
La muraglia cinese.
L'intreccio resta inestricabile senza coraggiose riforme politiche. Quello che manca oggi al mondo sono organismi internazionali autorevoli ed efficaci, riconosciuti da tutti ed in grado di risolvere rapidamente crisi internazionali e contrasti che inevitabilmente sorgeranno sul piano economico, politico e militare. L'Onu è spiaggiato e il nuovo G20 non ha poteri. Nei nuovi scenari brilla l'assenza dell'Europa, alle prese lei sola oramai, con una crescita economica nulla, una politica estera e di difesa comuni inesistenti e una paura montante tra i suoi cittadini e tra classi dirigenti, che sembrano non aver compreso che il mondo è cambiato e noi non ne siamo più i padroni.
Banconota cinese da 1 Rmb (CNY)
(Renmimbi yuan), pari a circa 0,10 €
La Cina detiene il debito pubblico americano e non è interessata ad una svalutazione del dollaro. Gli Usa, comunque, hanno perso il dominio sul mondo e non se ne capacitano. Siria e Ucraina diventano gli ambiti per tentare un'ultimo, estremo atto di prevaricazione politico-economico-militare, soggiogando l'Ue, che preferisce invece la via dello stillicidio finanziario fra le economie più deboli dell'area euro (Grecia, Spagna, Italia) imponendo, attraverso Fmi e banche, chi deve governarle.
La Cina aspetta, con pazienza.

29-04-2014 - Nell'est ucraino miliziani filorussi hanno aperto il fuoco contro la sede centrale della polizia a Lugansk. I separatisti hanno preso il controllo dell'ufficio del procuratore regionale e della sede del canale televisivo di Stato. Poche ore prima più di 3.000 manifestanti avevano assaltato la sede del governo.
Ucraina: ubicazione di Lugansk.
Un'avanguardia di una ventina di militanti armati di spranghe aveva rotto i vetri delle finestre dell'edificio, che non era protetto dalla polizia, e una volta all'interno ha aperto i portoni per fare entrare gli altri. Lugansk è una città di quasi mezzo milione di abitanti vicino alla frontiera con la Russia. La sede dei servizi segreti della città, capoluogo della regione che ha lo stesso nome, sono già occupati da inizio aprile.

01-05-2014 - Ucraina, attacco di filo-russi a Donetsk. Manifestanti filo-russi hanno preso d'assalto la sede dell'ufficio del procuratore regionale di Donetsk. Almeno quattro poliziotti sono rimasti feriti. La folla ha lanciato pietre contro l'edificio e i poliziotti in tenuta antisommossa intervenuti a difesa del sito, che hanno risposto all'attacco della folla con granate stordenti e gas lacrimogeni. I poliziotti sono stati picchiati e disarmati dalla folla, al grido di "fascisti fascisti!".
Ucraina: ubicazione di Lugansk.
La provincia (oblast) di Donetsk ha una spiccata vocazione industriale; prima lo sfruttamento del carbone, poi l’acciaio, hanno legato saldamente la sua storia economica all’Urss durante tutto il ’900. Donetsk era tanto importante per il suo acciaio che Mosca la ribbattezzò come Stalino.
Il distretto di Donetsk è inoltre uno dei più popolosi dell’Ucraina, e le sue spinte separatiste non risalgono a oggi. Durante le elezioni presidenziali del 2004, l'oblast era già in odore di autonomia, perché Viktor Yanukovych, già presidente dell’oblat dal 1997 al 2002, perdeva le elezioni sotto le spinte di quella che tutti chiamarono Rivoluzione Arancione.
La regione potrebbe essere una nuova spina nel fianco per Kiev anche per un altro motivo: i gruppi etnici all’interno del Donetsk oblast sono a maggioranza ucraina, tuttavia i russi sono quasi il 40% del totale.
L’Ucraina ha ripristinato il servizio militare obbligatorio. Il decreto, in vigore con effetto immediato, è stato firmato dal presidente ad interim, Aleksandr Turchinov. La prima chiamata di leva si avrà entro quest’anno. Era stato il Parlamento a raccomandare, lo scorso 17 aprile, tale misura, con l’obiettivo di «rilanciare le capacità di difesa di fronte all’aggressione della federazione russa». Il servizio di leva era stato cancellato proprio quest’anno dall’ex presidente Viktor Yanukovych. L’Ucraina può contare oggi su 130.000 unità, che con l’aggiunta delle riserve potrebbero raggiungere la cifra di un milione. L’Ucraina ha reintrodotto la coscrizione - che riguarda gli uomini di età compresa tra i 18 ed i 25 anni - per «il deterioramento della situazione nell’est e nel sud del Paese e per l’aumento delle forze filorusse che minacciano l’integrità territoriale».

02-05-2014 - Kiev attacca Slavyansk, in mano ai filorussi. Due soldati ucraini uccisi, presi nove checkpoint che erano in mano ai separatisti. L’esercito ucraino ha lanciato “un attacco su larga scala” su Slavyansk, una delle città dell’est controllate dai miliziani filo-russi. 
Ucraina: Slavyansk, nella provincia
di Donetsk.
Il ministero della Difesa ucraino ha riferito che durante la fase attiva dell’operazione militare a Slaviansk, due soldati sono stati uccisi e molti altri feriti, sono stati abbattuti due elicotteri Mi-24 e danneggiato un elicottero Mi-8. La fase attiva del raid sulla città dove vengono tenuti in ostaggio gli osservatori Osce è iniziata all’alba. Le forze di sicurezza utilizzano aeromobili mandati da Kiev e veicoli blindati.
“C’è una vera e propria battaglia in corso, ci sono piloti morti e feriti”, ha scritto sul suo Facebook il ministro dell’Interno facente funzioni Arsen Avakov, secondo il quale, “l’operazione procede secondo i piani”. “Siamo qui insieme con il ministro della Difesa” ha detto Avakov, parlando anche di 9 posti di blocco di cui è stato ripreso il controllo. Sinora si era parlato dell’abbattimento di un solo velivolo. Durante l’operazione militare con diversi colpi di Manpads (sistemi missilistici portatili a corto raggio) è stato colpito da un elicottero militare delle forze armate dell’Ucraina, secondo quanto già confermato dal Centro Antiterrorismo dell’Ucraina. Il ministero ha aggiunto che il numero delle vittime è da confermare.
Inoltre la portavoce dei filorussi ha dichiarato che un elicottero ucraino sarebbe stato abbattuto e che “il villaggio di Bilbassivka è stato occupato” dai militari ucraini. Da più di due settimane Slaviansk sfugge al controllo delle autorità di Kiev e in questa città viene trattenuta da ormai una settimana una squadra di osservatori dell’Osce.
Ucraina: manifestazione di filorussi
sotto la statua di Lenin a Slavyansk.
Nella città di 160.000 abitanti sono risuonate le campane delle chiese per avvertire la popolazione del pericolo imminente. Fonti del ministero dell’Interno ucraino hanno fatto sapere che il governo non commenterà quanto sta accadendo a Slavyansk “finche’ l’operazione non sarà terminata”. L’offensiva, se confermata, sarebbe la prima risposta militare su ampia scala ai miliziani filo-russi che hanno preso il controllo di numerosi edifici pubblici di città del sud-est dell’ex repubblica sovietica, alimentando la piu’ dura contrapposizione tra Mosca e Occidente dai tempi della Guerra Fredda.
Una conferma del clima teso era venuta dalla parata dei lavoratori sulla Piazza Rossa per il Primo maggio voluta dal presidente russo, Vladimir Putin, la prima dall’era sovietica, trasformatasi in una manifestazione di sostegno al Cremlino per l’annessione dell’Ucraina e la protezione della minoranza russofona. L’autoproclamato sindaco di Slavyansk, Vyacheslav Ponomaryov, ha dichiarato all’agenzia Interfax che i separatisti hanno abbattuto due elicotteri delle forze ucraine, uccidendo un pilota e catturandone un altro. La notizia non ha trovato però alcuna conferma.
A Berna, il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier incontrerà il suo collega svizzero, Didier Burkhalter, che attualmente riveste anche l’incarico di presidente dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa. Undici membri dell’Osce, sette stranieri e quattro ucraini, sono stati fermati dai separatisti filorussi a Slaviansk, città dell’est dell’Ucraina che sfugge da due settimane al controllo di Kiev.

Da http://www.corriere.it/esteri/14_maggio_02/kiev-lancia-offensiva-nell-est-ribelli-abbattuti-due-elicotteri-07eb3768-d1c0-11e3-8ed3-fdcfbf1b09b2.shtml
03-05-2014 - Kiev, controffensiva nell’Est, 60 morti. Mosca: perso il controllo dei filorussi.
Sloviansk, Odessa, e adesso anche Kramatorsk: l’offensiva di Kiev si allarga, con scontri sanguinosi tra filorussi e ucraini. Rilasciati gli osservatori dell’Osce. Il portavoce di Putin: non sappiamo come rispondere a violenze.
L’Ucraina è a un passo dalla guerra civile. E Mosca ammette di non essere in grado di risolvere la situazione da sola. Lo ha detto Dmitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin. La Russia, ha spiegato, ha perso la sua influenza sulle forze di autodifesa del sud-est ucraino. Un’ammissione assolutamente inedita per il Cremlino, che indica quanto la situazione stia sfuggendo a ogni controllo. E mentre da Sloviansk arriva la notizia che sono stati liberati gli osservatori Osce presi in ostaggio, il bilancio degli scontri tra filorussi e ucraini è sempre più pesante. Nella notte tra venerdì e sabato sono morti oltre 10 civili di Andreievka, un villaggio vicino Sloviansk, che tentavano di bloccare un corteo di auto degli ultra nazionalisti di Pravi Sektor: ci sarebbero anche 40 feriti, secondo quanto riferito dall’autoproclamato sindaco di Sloviansk, Viaceslav Ponomariov.
Ucraina: evidenziate Kramatorsk
e Odessa.
Scontri a Odessa: sono 42 i morti e 125 feriti, tra cui 21 poliziotti, le vittime della guerriglia scoppiata venerdì sera a Odessa. A colpi di bastoni, lanci di pietre e molotov filorussi e filo ucraini si sono scontrati a Odessa, città portuale sul Mar Nero. Centinaia di militanti hanno attaccato una manifestazione per l’unità nazionale alla quale partecipavano circa 1.500 persone. La polizia è intervenuta per separare i due campi, ma il bilancio è tragico. Oltre alle vittime per gli scontri in piazza, almeno trentotto persone sono morte in un incendio nella sede dell’Unione dei sindacati (la Casa dei sindacati) della città. Una trentina di persone sono morte per l’intossicazione da fumo e altre 8 si sono schiantate al suolo dopo che si erano gettate dalle finestre dell’edificio per sfuggire alle fiamme. Nell’edificio si sarebbero rifugiati i filorussi dopo gli scontri in città. Secondo alcune fonti russe, alcuni dei filorussi si sono lanciati dalle finestre per sfuggire alle fiamme: e sopravvissuti alla caduta, sarebbero stati circondati e bastonati dagli estremisti filo-Kiev. Nell’incidente sono rimaste ferite anche una cinquantina di persone, compresi dieci ufficiali di polizia. La polizia ha arrestato più di 130 persone per il rogo, che sarebbe stato causato da bombe molotov lanciate contro il secondo e terzo piano dell’immobile: gli arrestati rischiano accuse che vanno dalla partecipazione ai disordini all’omicidio premeditato. Per il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, le autorità di Kiev «portano la responsabilità di quanto accaduto a Odessa» e ne sono «di fatto complici», come «chi considera legittima la giunta di Kiev». Putin ha inviato le sue condoglianze ai familiari delle vittime.
Kiev: «Non ci fermiamo». Gli Stati Uniti hanno chiesto a Ucraina e Russia di «ristabilire l’ordine»: «La violenza e il disordine che hanno portato a tanti morti e feriti assurdi sono inaccettabili», ha scritto in un comunicato un portavoce del Dipartimento di stato americano. Ma Kiev non è intenzionata a fermarsi: il ministro dell’Interno Arsen Avakov ha annunciato sabato che la «fase attiva dell’operazione è ripresa all’alba» con attacchi nella zona della cittadina di Kramatorsk, che si trova vicino a Sloviansk, roccaforte dei separatisti.«Non ci fermeremo», ha scritto in un messaggio sul suo profilo Facebook prima di rilanciare l’offensiva . Le forze governative hanno distrutto due posti di blocco nei pressi dell’aeroporto di Kramatorsk e riguadagnato il controllo della torre della televisione. «La battaglia è in corso», ha scritto su Facebook qualche ora dopo Avakov, chiedendo agli abitanti di entrambe le città di «non uscire nelle strade».

04-05-2014 - Ucraina, terzo giorno di offensiva a Est. Cresce la tensione a Odessa.
Il governo di Kiev proseguirà l'offensiva«su larga scala» iniziata venerdì contro le roccaforti ribelli filorusse nell'est del Paese, ha annunciato il segretario del consiglio di Difesa e Sicurezza Nazionale, Andriy Parubiy: «Quando si concluderà l'operazione a Slavyansk e Kramatorsk, lanceremo operazioni in altre città dove gli estremisti e i terroristi ignorano la legge ucraina e minacciano la vita dei cittadini ucraini».
Immagine da Donetsk.
Intanto l'offensiva sferrata dalle truppe ucraine in varie roccaforti della regione mineraria di Donetsk, dove il 11 maggio è stato indetto un referendum locale sulle orme di quello di Crimea, mette in allerta i miliziani filorussi che controllano vari edifici pubblici nel capoluogo regionale. Di fronte all'avanzata della Guardia Nazionale, i ribelli hanno dichiarato la mobilitazione generale in città. In segno di lutto per le 46 vittime di Odessa, in gran parte filorussi, le bandiere che ondeggiano dinanzi al municipio di Donetsk sono listate a lutto.
Centinaia di attivisti filorussi hanno circondato oggi un commissariato a Odessa, la città portuale sul Mar Nero teatro venerdì di violenti scontri fra filogovernativi e filorussi culminati in un incendio. I manifestanti chiedono la liberazione dei loro compagni fermati proprio durante le violenze e dopo l'incendio costato la vita a oltre una quarantina di persone. «Sono in piedi là fuori e chiedono il rilascio degli arrestati», ha riferito un portavoce della polizia regionale. Secondo il portavoce, dopo gli scontri tra filorussi e lealisti, furono inizialmente arrestate 170 persone, ma da allora una cinquantina di loro sono state rilasciate. In queste ore la tensione a Est è altissima: i residenti di Kramatorsk, città dove ieri si è spostata l'operazione, sentono spari ovunque e sono stati invitati a rimanere in casa.

Accordo Putin - Xi Jinping per
fornitura di gas miliardaria.
21-05-2014 - Gas, storico accordo tra Russia e Cina. Barroso: "Ma rifornite anche la Ue". I due colossi, dopo dieci anni di tentativi, hanno definito le condizioni economiche che portano Mosca a vendere 38 miliardi di metri cubi di metano all'anno con un gasdotto da 2.200 chilometri. Immediato intervento di Bruxelles. Di LUCA PAGNI.
MILANO - A vendere gas alla Cina ci hanno provato da almeno dieci anni. Ma questa volta ce l'hanno fatta. Il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera pubblica cinese Cnpc hanno firmato a Shanghai uno storico accordo destinato a cambiare gli assetti geopolitici dell'energia mondiale. Il contratto, sottoscritto al termine di due giorni di incontri ad alto livello, alla presenza del presidente russo Vladimir Putin e del numero uno cinese Xi Jinping, prevede un contratto di fornitura trentennale di metano, pari a 38 miliardi di metri cubi all’anno (la metà dei consumi italiani), garantito da un gasdotto lungo 2.200 chilometri dalla Siberia alla Cina orientale ancora da costruire. In realtà, nonostante la fornitura trentennale sia stimata dagli esperti attorno a 456 milioni di dollari, il prezzo è uno degli ostacoli che ancora dividono i fornitori dagli acquirenti. Così come è stata molto complessa la trattativa sulle condizioni per le eventuali rinegoziazioni, procedure cui i cinesi sono abbastanza allergici. E come avviene sempre nelle trattative per la fornitura di idrocarburi il prezzo finale a cui verrà cenduta al materia prima non è stata rivelata nemmeno questa volta. (Per http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-21/gas-maxi-accordo-cina-e-russia-fornitura-38-miliardi-metri-cubi-annui-123703.shtml?uuid=ABH770JB pare che l'intesa sia avvenuta sui 350 dollari per 1000 metri cubi)
La mossa di Putin è strategica. Cercare di spostare l’asse economico verso est per non dipendere più esclusivamente dall’Europa, principale mercato di sbocco del gas siberiano. Per lanciare un messaggio all’Europa dopo i fatti dell'Ucraina, ma anche per trovare altri sbocchi in un momento in cui tra rinnovabili, crisi economica e rivoluzione dello shale gas in America, l’Europa sembra avere meno bisogno di materia prima. Come noto, più di un terzo del metano che si consuma nell’Eurozona viene dalla Russia, con punte fino al 100 per cento nei paesi baltici, il 90 per cento della Bulgaria e l’80 di Slovacchia e Ungheria.
Fino al 2013 l'Europa è stato il primo cliente di Mosca con 160 miliardi di metri cubi acquistati ma la Cina da sola è già da quest'anno un mercato più grande. Pechino prevede di aumentare del 20% le importazioni di gas, per ridurre il peso dell'inquinantissimo carbone per produrre energia elettrica, e arrivare a 186 miliardi di metri cubi. Non è un caso se Bruxelles si è subito preoccupata di lanciare un messaggio al Cremlino. "La fornitura di gas all'Europa non deve essere interrotta, conto sulla Russia perchè mantenga i suoi impegni, è responsabilità di Gazprom assicurare le consegne di gas come stabilito dai contratti con le società Ue": così il presidente della Commissione Josè Barroso in una lettera a Vladimir Putin. Il presidente della Commissione ricorda anche a Putin che "la Ue si aspetta che la Russia attivi un sistema di allerta" che avverta con largo anticipo semmai le forniture dovessero subire interruzioni. "La Ue si aspetta che tutte le parti restino affidabili fornitori e partner di transito, perchè è anche nel loro interesse". I rapporti con economici tra Cina e Russia, invece, sono recenti. A differenza di quelli politici. L’interscambio commerciale ha raggiunto i 90 miliardi di dollari nel 2013, sette volte di più del 2003, ma ancora molto lontano dai 370 miliardi dell’interscambio tra Russia ed Europa. L'accordo nasconde retroscena ancora più complessi. Come spiega Matteo Verda, ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli studi internazionali di Milano. “Più che una minaccia all’Europa, si tratta di una diversificazione del business. Putin e Gazprom vogliono aprire un mercato parallelo, visto che, tra l’altro, i giacimenti che verrebbero usati per rifornire la Cina non sono gli stessi che servono l’Europa". Per l’analista, il fatto di aprire in mercato alternativo può portare dei vantaggi anche a Bruxelles: "Non è male se la Russia trova altri acquirenti del suo gas, perché questo significa dare più stabilità ai conti del Cremlino. Siccome l’Europa è il primo mercato per Mosca, in caso di instabilità economica, le ripercussioni sono immediate".  

Carta dell'Unione Europea nel 2014 con bandiere dei 28 Stati membri:
Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca,
 Irlanda, Regno Unito, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria,  Finlandia,
 Svezia, Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria,
 Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria, Romania e Croazia.
Legenda degli stati membri, dei candidati a esserlo, adesioni congelate,
 rifiutate da cittadini o Ue. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Risultati delle elezioni 2014 per il parlamento dell'UE. 
25-05-2014 - Si svolgono le elezioni per la composizione e la presidenza del parlamento europeo.
L'Europarlamento cambia, ma non abbastanza per delineare, fin da subito, che strada imboccherà e chi sarà il nuovo presidente: cala il PPE ma rimane il gruppo più numeroso, si mantiene stazionario il PSE (S&D), grazie fondamentalmente al voto italiano, cresce il GUE/NGL con il suo 5,99% e si impongono gli euroscettici della Le Pen, di Farage e di Grillo. A quanto pare la politica dell'austerità non è stata molto gradita dai cittadini europei.

01-12-2014 - Il presidente russo Vladimir Putin ha dato l’addio al progetto di gasdotto South Stream e ha indicato come tracciato alternativo quello che passa per la Turchia. Una decisione che riguarda direttamente anche il futuro della Siria, visto che una delle principali cause che hanno generato la guerra sono le vie del petrolio e del gas.
Vladimir Putin.
Il South Stream (in italiano: flusso meridionale) era un progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto che avrebbe dovuto connettere direttamente Russia ed Unione Europea, eliminando ogni Paese extra-comunitario dal transito. Era un progetto sviluppato congiuntamente da Eni, Gazprom, EDF e Wintershall. Secondo i programmi iniziali del progetto, i lavori per la realizzazione della prima delle 4 linee (in parallelo) dovevano essere conclusi entro la fine del 2015 e le consegne di gas dovevano iniziare immediatamente dopo. Entro la fine del 2017 invece era previsto il completamento dell’intero progetto.
Nel 2008, l’Emiro del Qatar propose al Presidente Bashar al Assad un piano strategico per fare passare in Siria il gas in direzione dell’Europa. Assad si oppose, leggendo in quel progetto un piano contro la Russia e l’Iran, suoi storici alleati. Un rifiuto che rafforzò l’alleanza tra i Paesi del Golfo e la Turchia, in vista del rovesciamento di un regime che non “obbediva” alle mire espansionistiche della monarchia sunnita. La Turchia oggi però non è più interessata al progetto del Qatar. Erdogan ha infatti capito che gli unici vantaggi che possono derivare alla sua economia arrivano dalla costruzione del gasdotto russo che, attraverso il suo paese e la Grecia, arriverà nel cuore dell’Europa. Il nuovo gasdotto, con una capacità di 63 miliardi di metri cubi annui, partirà dal giacimento di Russkaya, lo stesso che avrebbe dovuto fornire il gas al South Stream. Un hub gasiero alla frontiera con la Grecia riceverà così ogni anno 50 miliardi di metri cubi, che poi andranno ai clienti dell’Europa meridionale che ne faranno richiesta. Per la parte offshore, nel mar Nero, continuerà a lavorare la stessa Southstream Transport.
Questa mossa ha indebolito l’alleanza del Qatar con la Turchia in un momento dove sia l’Esercito Siriano, sia l’Esercito Iracheno e, infine, Hezbollah infliggono duri copi al terrorismo sostenuto dai Paesi del Golfo.
Il vertice di Doha ha sancito il riavvicinamento ufficiale tra le monarchie del Golfo e l’Egitto. Il Qatar (alleato della Fratellanza Musulmana) si è unito ad Arabia Saudita,Bahrein, Emirati, Kuwait e Oman, gli altri 5 Paesi presenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo, nell’affermare il pieno appoggio al programma politico del Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi.
Che cosa farà il Qatar a questo punto? Forse continuerà a muoversi accanto ai movimenti islamici (tuttora sostiene i qaedisti del Fronte al Nusra), certamente farà in modo che questa sua attività non interferisca con questioni interne delle monarchie del Golfo o metta a rischio la sicurezza nella regione.
La crisi politica e diplomatica negli ultimi otto mesi ha diviso i paesi arabi del Golfo. Il Qatar si è piegato ai diktat dell’Arabia Saudita, del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti scaricando i Fratelli musulmani e finendo per sostenere il nuovo corso egiziano del generale Abdel Fattah al Sisi. Nel discorso di apertura del vertice, l’emiro del Qatar ha invitato gli altri capi di stato regionali a mettere da parte le divergenze alla luce “del pericolo che stiamo correndo a causa della minaccia del terrorismo”.

09-12-2014 - Ondata di vendite sulla Borsa di Atene, che ha chiuso con un ribasso del 12,78%, affossata dagli storni sui titoli bancari. Per il listino greco è la peggior performance da 27 anni.
Borsa di Atene.
Le tensioni sono tornate a tenere banco dopo la decisione del primo ministro Antonis Samaras di anticipare l’elezione del nuovo capo dello Stato entro questo mese. Una mossa che alimenta i rischi di elezioni anticipate. Nel caso il suo candidato venisse sconfitto (Samaras non ha ancora designato un nome per succedere al presidente Karolos Papoulias) il premier sarebbe di fatto costretto a indire elezioni politiche generali che, prevedibilmente, porterebbero alla vittoria dell’estrema sinistra di Syriza (stando ai sondaggi il primo partito del Paese) contraria al commissariamento della Troika.
L’annuncio a sorpresa è giunto ieri sera poco dopo la decisione dei ministri delle Finanze europei, riuniti a Bruxelles, di approvare una proroga di due mesi al piano di salvataggio della Grecia.

12-12-2014 - Mentre in UE la ripresa economica stenta a decollare, con le previsioni di crescita dei Pil nazionali vicino allo 0, Germania compresa, il prezzo del petrolio greggio si affossa e rischia di affondare l'intero Venezuela: il Paese con le maggiori risorse di petrolio al mondo. D'altra parte la produzione mondiale rimane stabile con un aumento da parte dei Paese che non aderiscono al cartello dell'Opec, mentre l'Agenzia internazionale dell'Energia è costretta a rivedere al ribasso, per la quarta volta in cinque mesi, la domanda globale. Secondo un rapporto dell'Aie, infatti, la richiesta mondiale per l'oro nero nel 2015 crescerà di 900.000 barili al giorno a quota 93,3 milioni di barili al giorno: ossia 230.000 barili al giorno in meno rispetto alle previsioni del mese scorso. Le stime sono state nuovamente riviste in calo perché i Paesi produttori sono in difficoltà a causa del calo dei prezzi, spiega l'Aie, sottolineando però che a pesare maggiormente è la situazione in Russia, dove le sanzioni (per la questione ucraina) stanno frenando la crescita. Le stime di domanda per il petrolio russo nel 2015 sono state, infatti, tagliate di 195.000 barili al giorno a 3,4 milioni di barili al giorno. Invece la produzione dei Paesi che non fanno parte del cartello Opec salirà a 57,8 milioni di barili al giorno l'anno prossimo, stima l'Aie.
A farne le spese, più di chiunque altro, potrebbe quindi essere il Venezuela che - secondo un report di Moody's - rischia seriamente il default se le quotazioni del petrolio si stabilizzassero intorno a quota 60 dollari al barile: il paese guidato da Nicolas Maduro possiede, infatti, le riserve più importanti di greggio del pianeta, ma ha un enorme deficit fiscale oltre ad un elevato livello di spesa pubblica.
Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 2014, c’è stato un significativo calo del prezzo del petrolio sui mercati mondiali: il prezzo al barile è sceso sotto i 90 dollari. Gl'indici rilevati tra settembre e ottobre riflettono un andamento anomalo, soprattutto se si considera che la situazione politica del Medio Oriente – la zona del mondo con le più grandi riserve di greggio – continua a essere molto grave e instabile: nelle ultime settimane, per esempio, si è parlato molto delle conquiste di alcuni giacimenti petroliferi iracheni da parte dello Stato Islamico.
Anche altri produttori di petrolio stanno affrontando diverse difficoltà: la Libia, la Nigeria, la Russia e la Siria. Nel rapporto mensile diffuso dall’OPEC a metà ottobre si legge che nell’ultimo mese gli stati membri dell’organizzazione hanno prodotto 400mila barili di greggio al giorno in più rispetto al mese precedente. Il Venezuela ha chiesto la convocazione di una riunione di emergenza per affrontare la questione della produzione, mentre l’Iran ha chiesto che si riducano i barili di greggio prodotti. La decisione dipende però in larga parte dall’Arabia Saudita, che ha ampio potere all’interno dell’OPEC e finora si è mostrata piuttosto restia ad acconsentire alle richieste di ridurre la produzione di petrolio (soprattutto per i timori di perdere fette di mercato in Asia). Riguardo al calo del prezzo del petrolio, diversi esperti e analisti hanno individuato almeno due cause, e tre conseguenze significative.
Prima ragione: l’aumento della produzione di petrolio
Sabbie bituminose negli USA.
La prima ragione è l’aumento di produzione mondiale del petrolio – se aumenta la produzione c’è più offerta, e quindi il prezzo cala – determinato soprattutto da un aumento di produzione negli Stati Uniti. Grazie all’estrazione di petrolio da sabbie bituminose in North Dakota e Texas, la produzione statunitense di petrolio è salita a 8,5 milioni di barili al giorno, il più alto livello mai registrato dal 1986.
Estrazione di sabbie bituminose
in Alberta,  Canada.
Se si considerano anche i combustibili liquidi derivati dal petrolio, scrive il Washington Post, la produzione americana è quasi al livello di quella dell’Arabia Saudita. Allo stesso tempo sta aumentando anche la produzione del petrolio in Russia, dove si stanno raggiungendo gli alti livelli registrati nel 1987 (11,48 milioni di barili al giorno). Infine negli ultimi 14 mesi è cresciuta anche la produzione di petrolio in Libia, che era crollata a causa della guerra civile del 2011. Oggi in Libia si producono 925mila barili di petrolio al giorno: non è detto però che i ritmi che sta tenendo la Libia continuino a rimanere così alti nei mesi a venire, date le grosse violenze che si stanno verificando nelle ultime settimane tra islamisti, esercito e altre milizie paramilitari.
Seconda ragione: la riduzione del consumo di petrolio
La seconda ragione del crollo del prezzo del greggio riguarda una riduzione generale del consumo del petrolio. In Cina, uno dei maggiori importatori e consumatori di petrolio la mondo, la domanda di greggio non è cresciuta come ci si aspettava: nel corso del 2014 l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha abbassato la sua previsione annuale di crescita della domanda cinese di petrolio per cinque volte (nell’ultima stima si parla del 2,3 per cento; anche per il 2015 è stata abbassata la stima dal 4,2 al 2,3 per cento). Il consumo è calato anche negli Stati Uniti, soprattutto grazie a una politica annunciata dall’amministrazione di Barack Obama nel 2009, secondo la quale entro il 2025 le macchine vendute negli Stati Uniti dovranno fare in media 54,5 miglia con un gallone di benzina (circa 23 chilometri al litro: cioè dovranno consumare poco).
Ci sono poi i guai economici dell’Europa: la debolezza dell’euro ha fatto sì che diventasse molto più costoso per gli europei comprare il petrolio. Infine ha ridotto il suo consumo di petrolio anche il Giappone, che ha cominciato a sostituire sempre più spesso il petrolio con il gas e il carbone: il consumo giapponese potrebbe diminuire ulteriormente nel 2015, ha detto il dipartimento dell’Energia statunitense, quando verranno rimesse in funzione le centrali nucleari.
Prima conseguenza: i problemi della Norvegia
Secondo alcune stime il Mare di Barents, al largo della punta settentrionale della Norvegia, contiene circa il 40 per cento delle risorse petrolifere non ancora scoperte nel paese: è quindi visto come la chiave per aumentare dl produzione di petrolio nazionale, soprattutto visto il progressivo declino e “invecchiamento” dei giacimenti del Mare del Nord. Avviare i progetti per cominciare le trivellazioni nella zona, tuttavia, costa molto denaro (anche per la mancanza di oleodotti e piattaforme): e con i recenti problemi registrati dall’indice Brent – il mercato del greggio estratto nel Mare del Nord – l’inizio delle operazioni è stato rimandato di nuovo. La questione non riguarda solo gli eventuali benefici che ne ricaverebbe l’economia norvegese: il Mare di Barents si trova nel Circolo Artico, una regione che – secondo le stime della US Geological Survey – potrebbe contenere circa il 30 per cento delle riserve mondiali non ancora scoperte di gas e il 13 per cento di quelle di petrolio: far partire il progetto di sfruttamento dell’area, come dicono da anni molti analisti, potrebbe cambiare la geopolitica mondiale e rendere meno dipendente l’Europa e l’Asia dalle importazioni mediorientali.
Seconda conseguenza: effetti sulla politica mondiale
Il crollo del prezzo del petrolio, nonostante infligga un danno economico significativo ai paesi esportatori, potrebbe avere conseguenze in qualche modo positive per l’Occidente. Per esempio, nei primi otto mesi di quest’anno la vendita di petrolio e prodotti derivati ha costituito il 46 per cento delle entrate di bilancio russe. In un momento in cui l’Occidente sta cercando di sanzionare la Russia per le sue interferenze nella crisi in Ucraina orientale, scrive il Washington Post, una diminuzione del 10-20 per cento del prezzo del petrolio potrebbe contribuire a raggiungere lo scopo politico delle sanzioni (non si tratterebbe comunque di danni ingenti). Un discorso simile si può fare per l’Iran, le cui esportazioni di petrolio sono limitate dalle sanzioni occidentali (qui le sanzioni sono legate al rifiuto del governo iraniano di limitare il suo programma nucleare e aprire le proprie installazioni a ispezioni internazionali): se si riduce il prezzo del petrolio si riducono le entrate, e il governo iraniano potrebbe essere costretto a raggiungere un accordo sul nucleare per alleggerire le sanzioni.
Terza conseguenza: gli effetti (notevoli) sulle singole economie
In generale, scrive l’Economist, il primo vincitore del calo del prezzo del petrolio è la stessa economia mondiale. Una variazione del 10 per centro del prezzo del petrolio è associato a una variazione dello 0,2 per cento del Prodotto Interno Lordo globale, ha detto Tom Helbling del Fondo Monetario Internazionale. Quando cala il prezzo del petrolio le risorse si spostano dai produttori ai consumatori, che sono più propensi a spendere i loro guadagni rispetto agli sceiccati del Golfo. A queste variazioni di prezzo del petrolio, gli effetti riguardano direttamente le economie di tutti i paesi. Il mondo produce poco più di 90 milioni di barili al giorno di petrolio: a 115 dollari al barile, si parla di un valore la produzione che raggiunge circa i 3.800 miliardi di dollari l’anno; a 85 dollari al barile il valore scende a 2.800 miliardi di dollari l’anno.

16-12-2014 - Dopo aver ripreso fiato all’apertura dei mercati, il rublo è tornato a precipitare verso
Bank Rossii, la banca russa.
nuovi minimi assoluti: 80 rubli per un dollaro, addirittura 100 sull’euro, prima di risalire intorno a quota 90. La mossa spettacolare di Bank Rossii, che la notte precedente aveva portato i tassi di interesse dal 10,5 al 17%, nel tentativo disperato di interrompere il crollo del rublo, non sarebbe bastata, l’effetto si è esaurito in poco tempo. Nel proseguo della giornata odierna, il rublo ha provato a recuperare, e il rapporto di parità rispetto all'euro è fissato ora a 84,55 rubli per un euro, ancora in crescita rispetto ai 78 della chiusura di ieri.
Per dare un’idea della tempesta che si è abbattuta sulla moneta russa, basti pensare che tre mesi fa servivano 50 rubli per comprare un euro. In quello che gli analisti hanno battezzato “il giorno del giudizio” per il rublo, il petrolio è sceso per la prima volta dal luglio 2009 sotto la soglia dei 60 dollari al barile. Travolta anche la Borsa di Mosca, che perde il 19%, il crollo peggiore dal 1995.

17-12-2014 - L'America apre a Cuba, ristabilisce le relazioni diplomatiche, cancella un embargo rovinoso per entrambe le parti. Da http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/17/news/cuba_usa_svolta-103141462/?ref=drl
NEW YORK - "Da oggi cambiano i rapporti tra il popolo americano e quello cubano. Si apre un capitolo nuovo nella storia delle Americhe". Barack Obama dà lo storico annuncio dalla Casa Bianca a mezzogiorno in punto (le 18 italiane). E' una svolta che chiude una crisi endemica durata ben 53 anni: l'America apre a Cuba, ristabilisce le relazioni diplomatiche, cancella un embargo rovinoso per entrambe le parti.
Il disgelo matura "in 45 minuti di colloquio tra Barack Obama e Raul Castro", rivela la Casa Bianca. Obama decide anche su questo terreno di lasciare un'eredità "pesante" nella storia. Annuncia il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con L'Avana che erano state interrotte nel 1961 in seguito alla rivoluzione di Fidel Castro. "Negoziati rapidi, per una riapertura dell'ambasciata Usa in tempi stretti", è l'incarico che Obama affida al suo segretario di Stato John Kerry. Inizia anche a smantellare l'edificio delle sanzioni: più facilità per viaggi e turismo, affari e comunicazioni, carte di credito e Internet, rimesse degli emigrati. Con un occhio ai diritti umani, che sarà più facile sostenere abbattendo il muro dell'isolamento.
Obama parte da una constatazione severa e al tempo stesso molto pragmatica: l'embargo ha fallito. Ha creato immensi disagi a Cuba, "ma mezzo secolo dopo i comunisti di Castro sono sempre al potere". Per contro ha ridotto la capacità d'influenza degli Stati Uniti, sia nei confronti di Cuba sia verso altri paesi d'America latina. "A tratti ci siamo isolati nell'emisfero occidentale". Ovvero: gli Stati Uniti si sono messi ai margini rispetto ad un ampio consenso delle nazioni latinoamericane che non avevano condiviso la politica dell'embargo. In un certo senso l'errore degli Usa ha regalato a Castro un podio per la sua propaganda. "Non si favoriscono i diritti umani cercando di far fallire gli Stati, ma dialogando". Tra le aperture, non a caso Obama mette in prima linea la liberalizzazione degli investimenti nelle telecom: per portare Internet su un'isola dove solo il 5% della popolazione naviga online. E' proprio grazie alle concessioni dell'Avana che le aziende digitali americane potranno portarvi le proprie infrastrutture e tecnologie.
Il pretesto per questa clamorosa apertura, è la liberazione decisa all'Avana di un businessman americano, Alan Gross, che era detenuto dal 2009 e oggi è stato scambiato con tre cubani accusati di spionaggio negli Stati Uniti. Ma la svolta storica era nell'aria da tempo, Obama ci stava lavorando. Ed è come se la sua sconfitta alle elezioni di midterm avesse improvvisamente "liberato" il presidente, spingendolo a dare un senso e un contenuto più progressista all'ultimo biennio che gli rimane. La politica estera è uno dei pochi terreni sui quali il presidente ha un potere quasi esclusivo, e Obama è deciso a usarlo fino in fondo.
Su Cuba, Obama usa anche la sua autobiografia ("Sono nato pochi mesi dopo la fallita invasione della Baia dei Porci e pochi mesi prima della crisi dei missili") per segnalare il lungo tempo trascorso da quelle tensioni della guerra fredda, l'assurdità di restare aggrappati a un passato ormai remoto. Rivendica con orgoglio la battaglia per i diritti umani, la difesa della libertà di espressione e del dissenso. Ma il metodo era sbagliato, diceva, "ha dato un alibi al regime". Fa un paragone con Cina, Vietnam, altre nazioni dove i diritti umani sono calpestati ma tuttavia l'America sceglie di avere relazioni aperte. 
Evoca "le nuove generazioni di cubani-americani", che non condividono l'approccio dei genitori anti-castristi, roccaforte elettorale della destra e sostenitori dell'embargo.
Obama fa anche un riferimento esplicito e riconoscente all'intervento di papa Francesco. "Da ora in avanti quando siamo in disaccordo, sulla democrazia e i diritti umani, lo diremo direttamente. Cuba non cambierà da oggi all'indomani. Ma diventa più facile per noi appoggiare il cambiamento". Un appuntamento dell'anno prossimo: Cuba e Stati Uniti parteciperanno insieme, per la prima volta, al Summit of the Americas a Panama, dove si discuterà anche di diritti umani. E a sottolineare l'importanza della svolta il capo della Casa Bianca chiude con una frase in spagnolo: "Todos somos americanos".

23-12-2014 - Cresce del 5 per cento il pil negli Stati Uniti, non accadeva dal 2003.
Secondo le stime ufficiali, il pil statunitense sarebbe cresciuto del 5 per cento nel terzo trimestre del 2014. Il tasso di crescita più alto degli ultimi undici anni.
Perché il dollaro forte è un pericolo per l’economia globale, di Alessandro Lubello
Negli ultimi mesi il dollaro statunitense si è fortemente rivalutato rispetto alle altre monete. Secondo l’Us Dollar index, un indice che misura il valore del dollaro rispetto a un paniere di valute straniere, dalla metà del 2014 c’è stato un apprezzamento del 12 per cento. Molti economisti sottolineano allarmati che questo fatto è un grave rischio per l’economia globale. Perché? Lo spiega l’ultimo rapporto trimestrale della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), un’organizzazione con sede in Svizzera che promuove la cooperazione tra le banche centrali.
Il problema riguarda soprattutto le economie emergenti, cioè paesi come il Brasile, la Cina o la Russia, dove numerose aziende hanno contratto debiti in dollari ma registrano entrate nella moneta nazionale. Come spiega il Financial Times, “la Bri calcola che nei paesi emergenti ci siano debiti esteri per 2.600 miliardi di dollari, di cui tre quarti emessi nella moneta statunitense. Una buona fetta di questi debiti viene rimborsata con entrate guadagnate nelle monete locali, anche se non c’è un dato preciso al riguardo”. Di conseguenza, se il dollaro dovesse rafforzarsi ancora, molte aziende potrebbero essere schiacciate da debiti diventati ormai insostenibili.
La Bri mette in evidenza un altro aspetto preoccupante. Tra il 2009 e il 2013 circa la metà dei debiti emessi dai paesi emergenti è passata attraverso “entità offshore” che convertono i dollari presi in prestito in monete locali e poi li rimpatriano verso la casa madre sotto forma di “investimenti diretti stranieri”. Secondo alcune stime, “solo nel primo trimestre del 2013 le aziende brasiliane, cinesi e russe hanno fatto circolare in questo modo flussi finanziari per 35mila miliardi di dollari”. Il rischio è che le aziende possano essere esposte al peso di questi debiti quando sarà difficile intervenire.
Il problema è stato “largamente ignorato”, osserva il Financial Times, soprattutto dagli investitori occidentali che per anni, alla ricerca disperata di ottimi ritorni per i loro capitali, hanno inondato di liquidità i paesi emergenti. Ma ora, anche alla luce della tempesta monetaria in Russia, sarebbe il caso di intervenire, promuovendo una maggiore trasparenza dei flussi finanziari, in particolare di quelli offshore. Prima che sia troppo tardi. Perché, come dice Warren Buffett, solo “con la bassa marea si vede chi non indossa il costume da bagno”.

15-01-'15 - Il  franco svizzero si sgancia dall'euro, la borsa di Zurigo perde fino al 14%.
"La Banca Centrale Svizzera cancella il “tetto” fissato al cambio del franco contro l’euro a 1,2 e di conseguenza il “cross” tra euro e franco scende ai minimi dal 2011 fino a 1,08.
La banca nazionale svizzera
Il tetto era stato fissato proprio nel 2011 per contrastare la corsa degli investitori alla ricerca di beni rifugio come il franco, ma con la situazione attuale secondo la Bcs non è più giustificato mantenere il cambio minimo. Il provvedimento ha avuto immediate ripercussioni in Borsa e nel giudizio di quanti lo definiscono una vera e propria “bomba” in campo finanziario le cui conseguenze saranno tutte da vedere. Intanto tra i frontalieri si evidenziano valutazioni di segno opposto: al vantaggio economico per gli stipendi si contrappongono infatti le considerazioni sui riflessi negativi per vari settori dell’economia elvetica, che potrebbero tradursi in calo delle esportazioni e perdita di posti di lavoro." Di Sergio Ronchi su http://www.verbaniamilleventi.org/il-franco-svizzero-si-sgancia-dalleuro/

Tsipras esulta per la vittoria
26-1-2015 - La vittoria di Tsipras alle elezioni greche e del suo partito anti-austerity non sta creando
sconquassi sulle piazze finanziarie. La Borsa di Milano ha aperto in ribasso dell’1% per poi ridurre le perdite a mezzo punto percentuale. Wall Street apre in leggero calo confermando, in ogni caso, nessuna isteria sui mercati finanziari, a parte qualche minuto in Grecia il giorno dopo le elezioni di Atene. La Borsa ellenica cede poco più di un punto percentuale (ma nei primi scambi era arrivata a perdere oltre il 5%). Vendite anche sui bond ellenici. I tassi dei titoli a 3 anni salgono dello 0,76% passando ad un rendimento del 10,84%. Per quanto quello dei governativi di Atene sia un mercato poco liquido (dato che dopo gli accordi con la Troika la gran parte del debito di Atene è in mano alle istituzioni sovranazionali) indica in ogni caso un’inversione della curva dei rendimenti (i titoli a 10 anni pagano infatti meno, il 9%), tipico delle fasi in cui gli investitori temono un possibile default del Paese.

Yanis Varoufakis
26-06-2015 - Posto dinanzi all’alternativa drammatica tra rifiutare l’ultima proposta - quasi un ultimatum - dei creditori internazionali e sottoscriverla, affrontando una tempesta nel partito e nel governo, Alexis Tsipras, dopo una riunione dei ministri convocata frettolosamente al ritorno dall’ennesimo, inconcludente negoziato a Bruxelles con i partner europei, la Bce e il Fmi,  ha annunciato un referendum per il 5 luglio. La domanda della consultazione popolare non sarà sulla permanenza dell’euro ma sull’accettazione dell’ultimo piano proposto dai creditori.
Ma l’Eurogruppo non ci sta e rifiuta la richiesta del governo greco di estendere l’attuale programma di salvataggio oltre il 30 giugno. «Il programma di aiuti internazionali alla Grecia finirà martedì sera», lo ha detto Jeroen Dijsselbloem, che ha aggiunto: «Siamo determinati a mantenere la credibilità dell’eurozona».
Jeroen Dijsselbloem
Dal 15 novembre 2012, Dijsselbloem è il ministro delle finanze dei Paesi Bassi e fa parte del secondo governo guidato dal premier Mark Rutte. Dal 21 gennaio 2013 è anche il presidente dell'Eurogruppo, il comitato dei ministri delle finanze dell'Eurozona, costituita dagli stati dell'Unione europea che hanno adottato l'Euro come moneta ufficiale, succedendo nell'incarico a Jean-Claude Juncker. Il 1º febbraio 2013 ha guidato la nazionalizzazione dell'ente finanziario olandese SNS Reaal, prevenendone la bancarotta. Gli azionisti e creditori sono stati espropriati dei titoli senza compensazione e le altre banche nazionali hanno dovuto contribuire al salvataggio con cifre fino a un miliardo di euro.
Nel marzo 2013 Dijsselbloem è stato a capo dei negoziati per la gestione della "Crisi finanziaria di Cipro", nella condotta della quale si è attirato critiche per aver creato un precedente, forzando il prelievo dai depositi bancari come parte del salvataggio delle banche. A commento della sua scelta ha dichiarato "Sono abbastanza fiducioso che i mercati vedranno questo come un approccio ragionevole, molto contenuto e diretto, invece di un approccio più generale ... obbligherà tutte le istituzioni finanziarie, così come gli investitori, a pensare ai rischi che corrono, perché ora dovranno rendersi conto che si può anche far loro del male". Ha dichiarato intorno al 24 marzo 2013 al Financial Times e alla Reuters che il salvataggio di Cipro è stata un modello per la risoluzione dei rischi di bancarotta per i sistemi bancari, ma il 26 marzo 2013 si è contraddetto dichiarando che Cipro non è stato un modello. Dall'inizio del 2015, è impegnato nelle trattative per la gestione della crisi del debito greco e ha respinto nel mese di febbraio la richiesta del ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis di indire una conferenza tra tutti i paesi europei per la ristrutturazione del debito, rivendicando la gestione delle trattative al solo eurogruppo che presiede.
Non si è fatto attendere il commento del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, che ha evidenziato come il rifiuto dell’Eurogruppo di concedere alla Grecia un’estensione del programma di aiuti per permettere al popolo greco di esprimersi sulla proposta di accordo è grave e danneggia la credibilità dell’Eurogruppo stesso. «Ho paura che questi danni saranno permanenti», ha aggiunto. E ancora: «Il referendum non è sull’euro. Sarebbe un grande contributo per l’Europa se si mettesse fine alle recriminazioni e a puntare il dito gli uni contro gli altri. L’ultima parola sulla proposta dell’Eurogruppo spetta al popolo greco, non al governo». La riunione a Bruxelles è ripresa senza la Grecia.
Al termine dell’incontro Dijsselbloem ha precisato che Varoufakis è uscito dall’Eurogruppo di sua volontà e che in negoziati non erano terminati. 

Alexis Tsipras
27-06-2015 - In serata inoltrata il Parlamento greco ha approvato il referendum e Tsipras ha chiesto di votare “no” per respingere «l’insulto» ricevuto dai creditori. «Il momento della verità per loro è venuto, il momento di quando vedranno che la Grecia non si arrenderà, che la Grecia non è un gioco cui si può mettere fine. Sono certo che il popolo greco sarà all’altezza delle storiche circostanze ed emetterà un forte no all’ultimatim». 
«Il popolo greco sopravviverà». È quanto avrebbe dichiarato il primo ministro ellenico, Alexis Tsipras, durante una conversazione telefonica con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, François Hollande, secondo quanto riferiscono alla Reuters fonti del governo di Atene. «Il valore sommo è la democrazia», avrebbe aggiunto Tsipras. «Qualunque decisione l’Eurogruppo prenderà, il popolo greco la settimana prossima avrà ossigeno e sopravviverà», avrebbe dichiarato Tsipras, «la democrazia è un valore supremo in Grecia e il referendum si terrà qualunque cosa l’Eurogruppo decida».
In precedenza Varoufakis aveva detto che la possibilità che la Grecia vada o meno in default sugli 1,6 miliardi di euro da versare al Fondo Monetario Internazionale entro il 30 giugno dipende dalla «flessibilità» dei creditori. Il ministro aveva quindi chiesto la restituzione degli 1,9 miliardi di euro di interessi che la Bce ha maturato sui bond greci detenuti così da poter rimborsare l’istituto di Washington.

Risultati del referendum greco sull'accettazione delle
condizioni poste dall'Eurogruppo in cambio di aiuti.
06-07-2015 - Referendum Grecia: "No" al 61,31%. Varoufakis si dimette per aiutare Tsipras.
Da https://www.agi.it/estero/notizie/referendum-grecia-trionfa-il-no-varoufakisvia-per-aiutare-tsipras. (AGI) - Roma, 6 lug. - La Grecia dice un fortissimo "no" al piano dei creditori di Atene: il 61,31% degli elettori ha votato contro il 38,69% dei "si". Sono i dati finali, diffusi dal ministero dell'Interno greco al termine dello spoglio delle schede. Un risultato netto che sembra chiudere le porte all'accordo e aprire uno scenario che potrebbe portare la Grecia a uscire dall'euro. E oggi, a sorpresa, arriva la svolta "europeista" di Tsipras: se ne va il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, autentico 'nemico' dei creditori e artefice della rottura. Varoufakis ha rassegnato le dimissioni annunciandolo sui social network. Sul suo profilo Twitter il ministro ha scritto: "Minister No More!", mi dimetto per favorire un accordo
Poi, in un post sul suo blog, (Minister No More! Posted on July 6, 2015 by yanisv) Varoufakis ha spiegato di aver lasciato l'incarico per consentire al primo ministro, Alexis Tsipras, di stringere piu' facilmente un accordo con i creditori. "Subito dopo l'annuncio dei risultati del referendum, sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell'Eurogruppo e di 'partner' assortiti per una mia... 'assenza' dai loro vertici, un'idea che il primo ministro ha giudicato potenzialmente utile per consentirgli di raggiungere un'intesa", scrive Varoufakis, "per questa ragione oggi lascio il ministero delle Finanze" e "Considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare come ritiene opportuno il capitale che il popolo greco ci ha garantito con il referendum di ieri", ha aggiunto l'ex ministro, "e portero' con orgoglio il disgusto dei creditori". Ieri sera, subito dopo la vittoria del 'no' al referendum, il ministro delle Finanze greco, Yannis Varoufakis, aveva dichiarato: "In questi 5 mesi i nostri creditori hanno rifiutato ogni proposta di discussione, volevano umiliarci. Da domani, grazie a questo bel no chiameremo i nostri partner per trovare un terreno comune". "Volevano colpirci - ha aggiunto - per la nostra resistenza alle loro proposte inaccettabili. Questo era l'obiettivo del loro ultimatum del 21 giugno, che noi abbiamo rimandato indietro con questo voto. Da domani con questo tenderemo una mano per collaborare con i nostri partner e chiameremo ognuno di loro per ricercare un terreno comune di incontro e per trovare una soluzione che sia favorevole ad entrambe le parti". 
Yanis Varoufakis si è dimesso da
ministro delle Finanze della Grecia.
Dal canto suo, Alexis Tsipras aveva dichiarato in tv: "Da domani la Grecia tornera' al tavolo delle trattative". Il premier greco, in un intervento televisivo aveva indicato tre priorita': il funzionamento delle banche, un programma di riforme basato sull'equita' e la questione del debito, cosi' come l'ha recentemente impostata il Fmi. "La nostra priorita' e' un velocissimo riordino del sistema bancario - ha detto Tsipras - e la stabilita' economica. La Bce deve tener presente la situazione sociale e umana del nostro Paese". Inoltre "noi vogliamo continuare le trattative presentando un programma di riforme basate sulla giustizia sociale". "Sul tavolo negoziale dovra' poi esserci anche la questione del debito, specie dopo il rapporto del Fmi nel quele si dice che occorre riarticolare la questione del debito, perche ci sia un'uscita dalla crisi non solo per la Grecia ma anche per l'Europa".


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