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venerdì 12 dicembre 2014

Le origini del nostro ordinamento economico: il governo dei ladri

Tabella con le differenze fra 4 sistemi sociali: Bande, Tribù,
 Chefferies e Stati - Clicca sull'immagine per ingrandirla.
La combinazione di governo e religione, insieme alle malattie infettive, alla scrittura e alla tecnologia, è uno dei quattro insiemi di fattori che determinano la storia dei sistemi sociali degli umani.
Ma come sono nati e come si sono evoluti i sistemi sociali?
Nel seguente scritto di Jared Diamond, si analizzano i sistemi sociali egualitari, bande e tribù, e le cleptocrazie (cioè i governi dei ladri), chefferies e stati.

"Useremo qui una semplice classificazione delle società umane in quattro gruppi:
- bande,
- tribù,
- chefferies (a)
- e stati,
come esemplificato nella tabella a fianco.
(a) L'autore utilizza il termine chiefdom, di cui non esiste un equivalente italiano immediato; il francese chefferie è la versione più usata dagli antropologi.

LE SOCIETA' EGUALITARIE
Le Bande - Le bande sono i gruppi umani più piccoli, e sono formate in genere da 5 a 80 individui, tutti più o meno affini e/o parenti; le possiamo considerare come una famiglia estesa, o come l'unione di più famiglie estese imparentate tra loro.
Ricostruzione di banda
di cacciatori-raccoglitori
paleolitici in Liguria,
nel Finalese. Clicca
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Al giorno d'oggi le uniche bande autosufficienti sono confinate nelle più remote aree della Nuova Guinea e dell'Amazzonia. In tempi recenti molte sono state poste sotto il controllo di qualche governo centrale, o assimilate, o sterminate: i pigmei in Africa, i nomadi San del Sudafrica (i cosiddetti Boscimani), gli aborigeni australiani, gli Inuit (cioè gli Eschimesi), e alcuni gruppi di americani nativi abitanti in aree povere di risorse come la Terra del Fuoco o le foreste artiche. Tutti questi popoli erano o sono cacciatori-raccoglitori nomadi. È probabile che tutto il genere umano sia vissuto in bande fino a 40.000 anni fa, e che la maggioranza lo facesse ancora fino a 11.000 anni fa. Le bande mancano di molti istituti che noi diamo per scontati. Non hanno una residenza fissa; la terra è usata collettivamente dal gruppo; non c'è specializzazione economica, se non per classi di età e sesso, e tutti gli individui abili al lavoro sono addetti a procurare il cibo; mancano istituzioni formalizzate, come le leggi, la polizia, la diplomazia, per sedare i conflitti interni tra i vari gruppi. Queste società sono considerate egualitarie, nel senso che mancano di stratificazione sociale, di preminenza formale di un individuo per nascita o per scelta, e di controllo dell'informazione e delle decisioni da parte di qualcuno. Non è una definizione da prendere troppo alla lettera, perché non è vero che tutti i membri del gruppo abbiano lo stesso prestigio e contino in egual misura nelle decisioni; però il ruolo di preminenza non è formalizzato, e si acquisisce con la personalità, la forza, l'intelligenza o l'abilità nel combattere.
Banda di cacciatori-raccoglitori
nativi Americani del Colorado.
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Ho conosciuto molte società di questo tipo nelle Pianure dei Laghi in Nuova Guinea, la zona piatta e paludosa dove vivono i Fayu. Ancora oggi mi capita di incontrare gruppi formati da famiglie estese di poche decine di adulti, con i vecchi e i bambini da loro mantenuti, che vivono in rozzi rifugi accanto ai torrenti e si spostano in canoa o a piedi. Perché questa gente vive ancora in bande nomadi, quando molti altri guineani, e quasi tutti gli uomini nel resto del mondo, sono sedentari e abitano in gruppi assai più numerosi ? La regione dei Fayu manca di quella concentrazione di risorse che permette a un numero maggiore di individui di sopravvivere nello stesso posto; e prima dell'arrivo dei missionari e delle loro colture, non c'erano piante locali che fossero coltivabili.
Banda di cacciatori-raccoglitori
Kotenai, nativi Americani.
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La principale fonte di cibo degli indigeni è il sago, un tipo di palma di cui si mangia il midollo farinoso. Le bande sono nomadi, perché devono spostarsi quando hanno tagliato tutte le piante di sago mature in una zona. Inoltre sono poco popolose, a causa delle malattie (soprattutto la malaria), dell'assenza di risorse naturali (persino la pietra per gli utensili deve essere importata) e della scarsità di cibo. Fattori limitanti di questo tipo sono all'opera in tutte le parti del mondo ancora occupate, o occupate fino a poco tempo fa, da bande nomadi. Anche i nostri parenti animali più stretti, i gorilla e le due specie di scimpanzé, vivono in bande. È presumibile che così facesse l'intera umanità, prima che l'arrivo di qualche nuovo modo per raccogliere il cibo permettesse ad alcuni nomadi stanziati in aree ricche di risorse di diventare sedentari. La banda è un tipo di organizzazione sociale che abbiamo ereditato da una storia evolutiva lunga milioni di anni. Tutti i nostri passi ulteriori sono stati compiuti in poche decine di migliaia di anni.

Le Tribù - Lo stadio immediatamente successivo alla banda è la tribù. È un'unità più grande, essendo in genere formata da centinaia di individui, ed è generalmente sedentaria, anche se esistono tribù e persino chefferies formate da pastori che praticano un nomadismo stagionale.
Carta della Libia con i nomi delle
varie tribù impegnate nei
 conflitti pro e contro Gheddafi.
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L'organizzazione tribale è ben esemplificata dagli abitanti degli altipiani della Nuova Guinea, la cui unità politica di base prima dell'arrivo degli europei era il villaggio o il piccolo gruppo di villaggi strettamente collegati. La definizione che qui uso è quindi molto più ristretta di quella dei linguisti e degli antropologi culturali, per i quali una tribù è un gruppo di persone che ha in comune lingua e cultura. Nel 1964, ad esempio, iniziai a lavorare in mezzo al gruppo dei Foré. Secondo la classificazione linguistico-culturale, si trattava di un'unica tribù di 12.000 individui che parlavano due dialetti abbastanza simili da essere reciprocamente comprensibili, e vivevano in 65 villaggi. Ma tra questi insediamenti non c'era alcun tipo di unità politica: ogni singolo gruppo di capanne era coinvolto in un complicatissimo gioco di guerre ed alleanze con i vicini, indipendentemente dal fatto che parlassero Foré o qualcos'altro.
Tribù indipendenti fino a poco fa, ed ora subordinate a vario titolo negli stati nazionali, occupano oggi molta parte della Nuova Guinea, della Melanesia e dell'Amazzonia. L'esistenza di strutture simili nel passato è dedotta dalla documentazione archeologica, cioè dai resti di villaggi di una certa consistenza privi però di quei segni distintivi delle chefferies che vedremo tra poco. Gli scavi mostrano che le prime tribù apparvero circa 13.000 anni fa nella Mezzaluna Fertile, e dopo in altre aree. Un prerequisito per l'insediamento stabile è la capacità di produrre cibo, o perlomeno il vivere in un ambiente le cui risorse sono particolarmente ricche e concentrate. Ecco perché i villaggi e le tribù nacquero e proliferarono nella Mezzaluna Fertile, in un'epoca in cui i cambiamenti climatici e i progressi tecnologici permettevano per la prima volta abbondanti raccolti di cereali selvatici.
Accampamento di tepee di una tribù
Piegan, inizo del 1900. Foto di E.S.
Curtis. Clicca sull'immagine
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Oltre a differire da una banda per via delle dimensioni e della vita sedentaria, una tribù ha in più una struttura di diversi gruppi di parentela formalmente riconosciuti, detti clan, che si suddividono la terra. Comunque, la tribù è abbastanza piccola da far sì che tutti conoscano il nome e le relazioni di parentela degli altri membri.
Poche centinaia di individui sembra un limite ragionevole per una società in cui tutti si conoscono, e ciò è vero in altre situazioni: è probabile che il preside di una scuola di trecento alunni li conosca tutti per nome; molto meno se la scuola ne ha più di un migliaio. Un motivo per cui l'organizzazione sociale umana diventa più complessa man mano che aumenta il numero degli individui è dato dal problema della risoluzione dei conflitti interpersonali. Nelle tribù tutti o quasi sono legati tra loro per matrimoni o parentele; questa rete di relazioni fa sì che istituti come la legge o la polizia siano superflui: se due persone hanno un motivo di contrasto, i molti parenti e affini in comune tenteranno comunque di risolverlo e non farlo diventare violento. Nelle società tradizionali della Nuova Guinea, quando due perfetti sconosciuti si incontravano al di fuori dei loro rispettivi villaggi iniziavano subito una lunga discussione per cercare di stabilire se avessero qualche parente o amico in comune, e quindi una valida ragione per cui l'uno non dovesse uccidere l'altro.
Nonostante queste differenze, le tribù hanno molti aspetti in comune con le bande. Innanzitutto, il loro sistema di governo è ancora informale ed egualitario, e la trasmissione delle informazioni e i processi decisionali sono comuni a tutti. In Nuova Guinea ho assistito a riunioni a cui partecipavano tutti gli adulti di un villaggio, e in cui tutti a turno prendevano la parola, senza che nessuno «presiedesse» la seduta in qualche modo. In molti villaggi c'è una specie di capo (il big-man) che ha più autorità degli altri, ma non si tratta di una carica formale e implica un potere molto limitato. Il capo non può prendere decisioni da solo, non ha «segreti di stato» che altri non conoscano e non può fare più di un tentativo di cambiare le deliberazioni della comunità. I capi acquisiscono prestigio grazie alle loro qualità, e la carica non è ereditaria.
Il sistema sociale delle tribù è anch'esso di tipo egualitario, e non prevede classi. Non solo il prestigio non è ereditario: nessun membro da solo può diventare molto più ricco degli altri, perché tutti sono legati tra loro da una rete di debiti e obblighi morali. Per un estraneo è impossibile capire dalle apparenze chi sia il più importante tra gli uomini adulti di un villaggio: vive in una capanna simile a quella degli altri, si veste e si adorna nello stesso modo, o gira completamente nudo, come tutti gli altri.
Nelle tribù, come nelle bande, mancano burocrazia, polizia e tasse. L'economia è basata sul baratto tra individui o famiglie, e non si conosce l'idea della ridistribuzione di tributi versati a un'autorità centrale. La specializzazione è minima: mancano artigiani a tempo pieno, e ogni adulto in grado di farlo (incluso il capo villaggio) partecipa alla raccolta, alla caccia o alla coltivazione del cibo. Un giorno, alle isole Salomone, passai accanto a un uomo che stava lavorando nei campi; questi si sbracciò per salutarmi, e solo allora mi accorsi con stupore che si trattava del mio amico Faletau. Era il più famoso intagliatore di legno dell'arcipelago, un artista di grande valore: ma questo non lo esentava dal dover coltivare le patate dolci. Poiché mancano gli specialisti, nelle società tradizionali mancano anche gli schiavi, perché non ci sono lavori «servili» a loro riservati.
Così come un compositore etichettato come «classico» può andare da Bach a Schubert, così le tribù si confondono con le bande da un lato e con le chefferies dall'altro. In particolare, quando un capo villaggio è incaricato di distribuire la carne di maiale in un banchetto, assume un ruolo che si avvicina a quello di un «vero» capo che raccoglie beni e cibo (sotto forma di tributi) e li distribuisce. E anche se l'assenza di edifici di carattere pubblico è uno dei tratti distintivi delle tribù, in alcuni grossi villaggi guineani esistono case comuni di culto (dette haus tamburan nella zona del fiume Sepik) che sono il primo passo verso i templi delle società più avanzate.
Per visualizzare  "Tribù, Storia e Culture dei Nativi Nord Americani: gli Indiani d'America", clicca  QUI

LE CLEPTOCRAZIE, SOCIETA' NON EGUALITARIE:
Le Chefferies - Le bande e le tribù dei giorni nostri sono confinate in terre remote e marginali dal punto di vista economico. Le chefferies, invece, sono tutte scomparse entro l'inizio del secolo, perché erano insediate su aree assai più appetibili e quindi finivano nel mirino di qualche stato. Nel 1492, però, erano ancora assai diffuse negli Stati Uniti orientali, nelle zone più fertili del Centro e Sudamerica, nell'Africa subsahariana e in Polinesia. Le testimonianze archeologiche indicano che questa forma di società apparve attorno al 5500 a. C. nella Mezzaluna Fertile e prima del 1000 a. C. in Mesoamerica e sulle Ande. Vediamo le sue caratteristiche, che la rendono diversa sia dalle tribù che dagli stati moderni.
Nella chefferie Bamileke del Camerun.
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Le chefferies erano molto più popolose delle tribù, e comprendevano migliaia, se non decine di migliaia di individui. Le loro dimensioni potevano creare seri problemi di conflittualità interna, perché ogni abitante non aveva alcun legame di sangue con la maggioranza degli altri, che nemmeno conosceva per nome: con la nascita delle chefferies 7.500 anni fa, l'uomo dovette imparare per la prima volta a incrociare un estraneo senza sentire il bisogno di ammazzarlo.
La soluzione del problema stava, in parte, nel limitare l'esercizio della forza a una sola persona, il capo. Un capo, diversamente da un big-man guineano, aveva una posizione ufficialmente riconosciuta, occupata per diritto ereditario; si trattava di un'autorità centrale permanente, che prendeva le decisioni importanti e aveva il monopolio di alcune informazioni (come quali fossero le minacce di un capo vicino, o che tipo di raccolto gli dei avessero promesso). I capi potevano essere riconosciuti tra la folla perché indossavano vesti o ornamenti speciali (ad esempio un grosso ventaglio fissato alla schiena, sull'isola di Rennell), e un comune cittadino doveva mostrargli rispetto attraverso forme ritualizzate come l'inchino (ad esempio alle Hawaii). I suoi ordini potevano essere trasmessi attraverso governanti di grado intermedio, o capi di basso rango. Non si trattava di una burocrazia di tipo statale, perché non esisteva una suddivisione dei ruoli. Alle Hawaii, un konohiki (capo di grado intermedio) poteva occuparsi della riscossione dei tributi, e contemporaneamente dell'irrigazione, delle corvée lavorative e di quant'altro, laddove oggi abbiamo ministri delle finanze, magistrati delle acque, uffici leva e cosi via.
Nella chefferie Fotouni del
Camerun. Clicca
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Una popolazione numerosa concentrata in un'area limitata aveva bisogno di molto cibo, ottenuto quasi sempre grazie all'agricoltura, o alla caccia e raccolta in casi eccezionali di terre molto ricche. Gli indiani della costa settentrionale del Pacifico, ad esempio, come i Kwakiutl, i Nootka e i Tingit, erano organizzati in chefferies pur senza conoscere l'agricoltura, perché il mare e i fiumi della zona erano ricchissimi di pesce. Le eccedenze alimentari che si rendevano disponibili, grazie al lavoro dei comuni cittadini, servivano a mantenere i capi, le loro famiglie, i vari funzionari e varie classi di artigiani, tra cui i costruttori di canoe e asce, gli uccellatori e i tatuatori.
I beni di lusso, come alcuni prodotti artigianali e oggetti rari che venivano da lontano, erano riservati ai capi. Quelli hawaiani, ad esempio, si adornavano con mantelli di piume, alcuni dei quali formati da migliaia e migliaia di piume diverse, e cosi complicati da richiedere il lavoro di generazioni di artigiani. Questa concentrazione di oggetti speciali è spesso un segno che fa riconoscere una chefferie del passato quando ci si imbatte nei suoi resti archeologici: le tombe dei capi sono in genere piene di ricchezze, al contrario di quelle del popolo, il che costituisce una svolta rispetto alle più antiche sepolture indifferenziate. Altri segni distintivi sono la presenza di resti di edifici pubblici, come i templi, e di una gerarchia di insediamenti, con un sito (evidentemente la sede del capo) più grande e più ricco degli altri.
Le chefferies, come le tribù, erano formate da numerose famiglie non imparentate tra loro. Qui però non erano organizzate in clan di eguale rango: una di loro, quella del capo, era più importante e trasmetteva questo privilegio per via ereditaria. Alle Hawaii c'erano otto caste ereditarie di capi, ordinate per via gerarchica, i cui membri si sposavano solo all'interno della propria casta. Inoltre, visto che le classi dominanti avevano bisogno non solo di artigiani ma anche di chi facesse i lavori umili al posto loro, esistevano gli schiavi, che venivano in genere catturati nelle scorrerie.
Dal punto di vista economico, la grande novità delle chefferies fu l'andare oltre il baratto. Nel baratto, A regala qualcosa a B con la tacita intesa che B, in un futuro non stabilito, ricambierà con qualcosa di valore uguale; anche se in certe occasioni (come i compleanni) ci comportiamo ancora così, noi abitanti degli stati moderni basiamo i nostri scambi sul denaro e sulla legge della domanda e dell'offerta. Nelle chefferies, anche se il baratto continuava a essere diffuso, si sviluppò un sistema alternativo di economia ridistributiva. Ad esempio, un capo poteva ricevere in tributo del grano dai contadini, poi organizzare una grande festa in cui distribuiva pane a tutti, oppure immagazzinarlo e ridistribuirlo a poco a poco prima del raccolto successivo. In alcuni casi, parte dei beni ricevuti dal popolo non venivano ridistribuiti, ma erano consumati dalla casta dominante e da chi lavorava per loro; si trattava allora di un vero tributo, di un precursore delle moderne tasse che fece la sua prima comparsa proprio tra le chefferies. Non solo: il capo poteva chiedere al popolo anche di partecipare alla costruzione di grandi opere, sia che queste fossero di utilità pubblica (come un sistema di irrigazione), sia che fossero ad uso e consumo della classe alta (ad esempio una tomba monumentale).
Nella chefferie Bamileke del Camerun.
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Le chefferies, anche se finora ne abbiamo parlato come se fossero tutte la stessa cosa, erano in realtà molto diverse tra loro. Le più grandi avevano capi più potenti, un maggior numero di caste, distinzioni più marcate tra governanti e sudditi, tributi più elevati e costanti, un maggior numero di burocrati e un'edilizia pubblica più grandiosa. Per contrasto, società più piccole come quelle presenti in certe isolette polinesiane erano molto simili a delle tribù con il capo villaggio, con l'unica differenza che la carica era ereditaria. La capanna del capo era fatta come tutte le altre, non c'erano burocrazia e lavori pubblici, quasi tutti i tributi raccolti venivano ridistribuiti e la proprietà della terra era comune. Ma su isole più grosse come le Hawaii, Tahiti e Tonga i capi andavano in giro riccamente vestiti, grandi masse di popolani erano costrette a lavorare alle opere pubbliche, i tributi non venivano ridistribuiti e la terra era controllata dai capi. Inoltre, c'era molta variazione tra società costituite da un solo villaggio autonomo e tra quelle formate da agglomerati regionali, con un villaggio più importante a fare da «capitale».

Ormai è chiaro che con le chefferies siamo di fronte per la prima volta al grande dilemma delle società non egualitarie. Nei casi migliori, queste costituiscono un buon modo per realizzare servizi costosi che i singoli individui non potrebbero permettersi; nei casi peggiori, sono scandalose cleptocrazie (cioè «governi di ladri») in cui c'è un semplice trasferimento di ricchezza da una classe all'altra. Queste funzioni nobili e ignobili sono legate in modo inestricabile, anche se i governi di volta in volta amplificano l'una o l'altra. La differenza tra un profittatore e un saggio statista, tra un pubblico benefattore e un signorotto oppressore è una semplice questione di gradazione, di quanta parte dei pubblici tributi è trattenuta dalle élite e del gradimento da parte del pubblici» delle forme di ridistribuzione. L'ex presidente congolese Mobutu è considerato un profittatore perché teneva per sé gran parte delle tasse pagate dai cittadini (fino ad arrivare a un patrimonio di miliardi di dollari) e ne ridistribuiva troppo poco (ad esempio, nell'ex Zaire non c'era neppure un servizio telefonico decente). George Washington è considerato uno statista illuminato perché spese il denaro delle tasse in programmi pubblici molto apprezzati e non si arricchì personalmente. Ma Washington era membro della classe agiata, e la ricchezza negli Stati Uniti è distribuita in modo molto meno equo che in Nuova Guinea.
Perché nelle società divise in classi il popolo tollera che il frutto del suo duro lavoro sia trasferito alle élite ?
È una domanda a cui hanno cercato di rispondere grandi filosofi della politica, da Platone a Marx, e che viene posta dai cittadini a ogni elezione. I capi privi di consenso popolare rischiano di essere rovesciati, da un sollevamento di massa o magari da un altro capo che promette un rapporto più equo tra servizi e tributi. Alle Hawaii, per esempio, le rivolte contro capi particolarmente odiati erano comuni, e in genere erano condotte dai fratelli più giovani dei regnanti che promettevano meno oppressione. Pensando al tipo di società di allora la cosa può farci sorridere, ma ricordiamoci quante tragedie sono causate ancora oggi da lotte di questo tipo!
Cosa deve fare un'élite per avere il consenso popolare e allo stesso tempo mantenere il suo stile di vita ?
Nei secoli, le soluzioni preferite sono state queste quattro:
1Disarmare le masse e trasformare l'esercito in una casta elitaria. Questo è molto più facile oggi, perché si può avere il monopolio delle armi tecnologiche prodotte in modo industriale; in passato, chiunque poteva fabbricarsi da sé una lancia o un mazza.
2Rendere le masse felici ridistribuendo i tributi in modi a queste graditi. È un principio valido per i capi hawaiani come per i politici del giorno d'oggi.
3Usare il monopolio della forza per mantenere l'ordine pubblico e calmare la violenza, facendo contenti i bravi cittadini. Questo è un vantaggio delle società centralizzate che viene spesso trascurato. Gli antropologi un tempo pensavano che le società organizzate in bande e tribù fossero non violente, citando come esempio tipico gli studi di qualche collega che non aveva osservato alcun omicidio durante una permanenza di tre anni in un gruppo di 25 persone. Beh, è del tutto ovvio: è facile calcolare che una dozzina di adulti con una dozzina di bambini, soggetti alle normali cause di morte, si estinguono se iniziano ad uccidersi tra loro ad un ritmo di uno ogni tre anni. Studi più approfonditi condotti per periodi di tempo più lunghi rivelano che l'omicidio è una delle principali cause di morte nelle società tradizionali. Mi capitò di essere presente mentre un'antropologa intervistava alcune donne della tribù guineana degli iyau. Una dopo l'altra, alla domanda «come si chiama tuo marito» rispondevano con una serie di nomi e di morti violente. Ecco una risposta tipica: «Il mio primo marito fu ucciso in un attacco degli Elopi. Il mio secondo marito fu ucciso da un uomo che mi desiderava e che divenne il mio terzo marito. Questo fu ucciso dal fratello del secondo marito, per vendetta». Biografie di questo tipo non sono rare tra i «pacifici» indigeni, e fanno capire perché l'accettazione di un'autorità centrale sia stata sempre più generalizzata.
4Fabbricare un'ideologia o una religione che giustifica la cleptocrazia. Gli uomini delle bande e delle tribù credevano già nelle entità soprannaturali, ma questo non giustificava l'esistenza dell'autorità o del trasferimento di ricchezze, e non bastava a frenare la violenza. Quando un insieme di credenze fu istituzionalizzato proprio a questo scopo, nacque ciò che chiamiamo religione.
Manifestazione di shadu shivaiti
induisti armati a Varanasi, in India.
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I capi hawaiani erano assai tipici in questo, visto che si proclamavano dei, o figli di dei, o per lo meno in stretto contatto con gli dei. Così potevano dire al popolo che lo servivano facendo da intermediari con il soprannaturale, recitando le formule rituali per ottenere la pioggia, un buon raccolto o una pesca abbondante.
Nelle chefferies troviamo in genere un'ideologia che anticipa le religioni istituzionalizzate, e che serve a rafforzare l'autorità del capo.
Il capo può essere un leader politico e religioso allo stesso tempo, o può mantenere una casta di sacerdoti che provvede alla bisogna. Ecco perché una così larga parte dei tributi serve per costruire i templi, che servono sia come luoghi di culto della religione ufficiale sia come segni visibili di potere. Oltre a fornire questo tipo di giustificazione, la religione porta due importanti vantaggi alle società centralizzate. Innanzitutto, aiuta a risolvere il problema della convivenza pacifica tra estranei, provvedendo a fornire un legame comune che va al di là della parentela. In secondo luogo, fornisce qualche motivazione di carattere idealistico per il sacrificio della vita: così, al prezzo di pochi soldati che muoiono in battaglia, una società diventa più efficiente nelle conquiste e nel resistere agli attacchi esterni.

Gli Stati - L'istituzione politica, economica e sociale a noi più familiare è senz'altro lo stato, che oggi governa su tutte le terre emerse (con l'eccezione dell'Antartico). In molti stati antichi e moderni esistono élite di persone in grado di leggere e scrivere, e in altri stati del giorno d'oggi questo privilegio è esteso alle masse. Gli stati del passato ci hanno lasciato testimonianze assai visibili della loro presenza, come le rovine di templi dall'architettura standardizzata, vari livelli di insediamento abitativo, grandi quantità di ceramiche e vasellame, il tutto su aree di molte migliaia di chilometri quadrati. Sappiamo cosi che i primi stati sorsero in Mesopotamia attorno al 3.700 a. C, al 300 a. C. in Mesoamerica, 2.000 anni fa sulle Ande, in Cina e nel Sudest asiatico e 1.000 anni fa nell'Africa occidentale. La formazione degli stati a partire dalle chefferies è stata più volte osservata direttamente in tempi moderni. Quindi conosciamo molte cose sugli stati e sulla loro evoluzione, molto più di quanto sappiamo degli altri tipi di società.
I proto-stati continuano sulla strada intrapresa dalle chefferies più complesse, quelle formate da diversi villaggi. Il numero degli abitanti cresce sempre più: dalle migliaia o al massimo decine di migliaia si passa a popolazioni di milioni di abitanti (fino ad arrivare alla Cina moderna che ne conta più di un miliardo).
Cerimonia con la presenza di  Kim
Jong Un, capo dello stato
della Corea del Nord, seduto,
al centro della foto.
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Il villaggio principale diventa una capitale vera e propria, e altri insediamenti possono diventare città, che differiscono dai villaggi per la presenza di grandi opere pubbliche e di palazzi di governo, per l'accumulazione del capitale attraverso le tasse, e per la maggiore concentrazione abitativa. I primi stati erano guidati da un «super-capo» che aveva molte caratteristiche di un re, il cui titolo era ereditario e i cui poteri erano sempre più grandi. Anche nelle moderne democrazie alcune informazioni importanti sono riservate a pochi individui che ne controllano la circolazione all'interno del governo e tra le masse, e che quindi controllano le decisioni. Durante la crisi cubana del 1963, ad esempio, le informazioni circa quello che poteva diventare un conflitto nucleare in cui sarebbero state coinvolte mezzo miliardo di persone erano inizialmente limitate al presidente Kennedy e a un comitato esecutivo di dieci uomini da lui nominati; poi le decisioni furono ulteriormente ristrette a un esecutivo di quattro membri, formato da lui e da tre ministri.
Convention democratica in
Noth Carolina per la
rielezione di Obama. Clicca
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II controllo centrale si fa più capillare e la ridistribuzione economica sotto forma di tasse e tributi diventa generalizzata. Anche la specializzazione economica è più marcata, al punto che al giorno d'oggi anche gli agricoltori non sono autosufficienti. Ecco perché quando il governo di uno stato crolla, l'effetto sulla società è dirompente, come accadde in Inghilterra dopo il ritiro dei soldati e degli amministratori romani tra il 407 e il 411. Il controllo centralizzato dell'economia era presente già nei primi stati della Mesopotamia: alla produzione di cibo erano destinate quattro classi distinte (coltivatori di cereali, pastori, pescatori, e ortofrutticultori), ognuna delle quali dava allo stato il suo tributo, che veniva restituito sotto forma di attrezzi e cibo. Era lo stato a fornire i semi e gli aratri ai contadini, a raccogliere la lana dai pastori (per usarla anche come merce di scambio nei commerci internazionali per ottenere metalli e altri beni essenziali), e a fornire razioni alimentari agli operai preposti al mantenimento delle opere di irrigazione.
Rappresentazione dello stato
ad economia capitalista.
Fonte: Anarchopedia
http://ita.anarchopedia.org/Stato
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Nel passato molti stati, forse quasi tutti, prevedevano forme di schiavitù su larga scala. Questo non perché fossero più malvagi delle chefferies, ma perché la loro maggiore specializzazione economica, e il maggior ricorso alla manodopera di massa per i lavori pubblici, rendeva l'uso degli schiavi necessario. Inoltre, la maggiore propensione alla guerra rendeva disponibile un numero significativo di prigionieri.
In uno stato i livelli dell'amministrazione centrale si moltiplicano a dismisura (come sa chiunque ha visto l'organigramma di un ministero) sia a livello verticale che a quello orizzontale. Al posto dei konohiki factotum delle Hawaii, i governi hanno diverse divisioni, ognuna con la sua gerarchia. Questo è vero anche nelle realtà più piccole: lo stato africano di Maradi aveva un'amministrazione centrale che comprendeva 130 cariche.
La risoluzione dei conflitti interni in uno stato è formalizzata, tramite le leggi, il sistema giudiziario e la polizia. Le leggi sono spesso scritte, perché quasi ovunque (con la notevole eccezione degli Inca) esistono élite in grado di leggere e scrivere: la scrittura nasce in Mesopotamia quasi contemporaneamente alla formazione dello stato, e così pure in Mesoamerica. Nessuna chefferie, anche la più complessa, ha mai posseduto documenti scritti. Nei primi stati esisteva una religione ufficiale e un'architettura religiosa standardizzata. Molti re erano considerati divinità, e trattati di conseguenza. L'imperatore Inca era portato in lettiga, e alcuni servitori avevano il compito di precederlo e spazzare la strada che avrebbe percorso; in giapponese, ancora oggi, esistono particolari forme grammaticali di rispetto riservate solo all'imperatore.
I re erano anche capi della religione di stato, oppure nominavano qualche alto sacerdote allo scopo. In Mesopotamia, i templi erano centri non solo religiosi ma anche di raccolta dei tributi, di produzione di documenti scritti e di tecnologia.
Frase di Paolo Borsellino.
Tutte queste caratteristiche portano all'estremo le linee di tendenza che abbiamo già visto presentarsi nelle chefferies, e ne inaugurano altre. Una delle novità principali è l'organizzazione dello stato su basi politiche e territoriali, non attraverso i legami di famiglia o clan; questo fa sì che in alcuni stati possa anche venir meno l'omogeneità etnica e linguistica. Gli imperi, cioè quegli stati formati per amalgamazione e conquista di altri, sono tutti abitati da popoli di etnie diverse che parlano diverse lingue. La burocrazia statale non è scelta esclusivamente sulla base dell'appartenenza a una famiglia, ma è spesso reclutata per cultura e abilità personale. In molti stati, tra cui quelli moderni, si abbandona anche il principio dell'ereditarietà delle cariche.

Negli ultimi 13.000 anni della storia del genere umano c'è stata una tendenza ben definita all'emergere di società sempre più grandi e complesse. Si tratta certo di una media statistica, con molte oscillazioni e passi indietro (magari 1.000 fusioni di stati contro 999 frammentazioni). È sotto gli occhi di tutti la disintegrazione in questi anni dell'ex Unione Sovietica, dell'ex Jugoslavia e dell'ex Cecoslovacchia, ed è ben noto il collasso di grandi imperi del passato come quello di Alessandro il Grande alla sua morte. Grandi unità sovranazionali, come gli imperi romano e cinese, possono soccombere di fronte a minacce esterne (i barbari e i mongoli rispettivamente) portate da popoli non organizzati in stati. Ma la tendenza di lungo periodo è chiara: si va dal semplice al complesso, dal piccolo al grande.
Certamente, parte del successo degli stati è dato dal fatto che sono in genere meglio dotati di armi e tecnologie, e hanno eserciti più numerosi. Ma non solo: per prima cosa, il processo di decisione centralizzata rende più facile concentrare truppe e risorse; inoltre il condizionamento ideologico e religioso può spingere alcuni eserciti a lottare con molto più accanimento, fino al sacrificio spontaneo.
Quest'ultimo fatto è cosi radicato nella nostra società, nella scuola, nella chiesa e nella politica, che ci dimentichiamo quanto sia stato dirompente il suo arrivo nella storia.
Siria, funerali di stato per lo shayk
al Buti. Clicca sull'immagine
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Ogni stato in ogni epoca ha i suoi slogan patriottici, che incitano anche a morire se necessario per il bene comune: se da un lato gli spagnoli gridavano «Per Dio e per la Spagna! », gli Aztechi non erano da meno; dice un testo azteco: «Non c'è nulla come la morte in battaglia, nulla come la gloriosa morte tanto cara a Lui (il dio Huitzilopochtli), che dà la vita: già la vedo, il mio cuore anela a tanto! »
Sono sentimenti impensabili in una banda o in una tribù.
In tutti i racconti che i miei amici guineani mi hanno fatto delle loro guerre, manca ogni vago accenno al patriottismo o al sacrificio personale per il bene della tribù, o anche solo ad azioni militari condotte ben sapendo che si correva il rischio di venire uccisi. Le loro guerre erano fatte di imboscate e di attacchi in forze superiori, in modo da minimizzare la probabilità di morire. È un atteggiamento che rende gli eserciti tribali assai meno efficienti di quelli statali.
Ovviamente, ciò che rende un kamikaze cosi pericoloso per gli avversari non è la sua morte in sé, ma la volontà di accettare la morte per una causa superiore, per sconfiggere i nemici, gli infedeli. Il fanatismo che ritroviamo nelle guerre tra Islam e Cristianità era probabilmente sconosciuto sul pianeta fino a 6000 anni fa."
Tratto da: “Armi, Acciaio e Malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni”
di Jared Diamond

Nella prefazione del testo:
“È il 1972, e in una lunga camminata su una spiaggia della Nuova Guinea un giovane politico locale, Yali, chiede al biologo americano Jared Diamond come sia avvenuto che la sua terra, abitata da 1.000 popolazioni indipendenti per 60.000 anni, sia stata conquistata dagli europei nel giro di due secoli. Il biologo rifletterà a lungo sulle implicazioni di quella domanda, che non riguarda solo la Nuova Guinea ma il mondo intero. Perché è stato un genovese (o catalano che fosse) a «scoprire» il Nuovo Mondo, e un capitano spagnolo con 168 soldati si è impadronito dell'imperatore Inca, difeso da un esercito di 80.000 uomini ? Perché non è stato invece un principe Inca a sbarcare a Cadice e a catturare il re di Spagna ? Gli europei hanno conquistato quasi tutto il mondo negli ultimi cinque secoli: perché non è successo il contrario? Dopo oltre vent'anni, Diamond, oggi professore di fisiologia a Los Angeles, ci propone la risposta, in un libro destinato a divenire una pietra miliare della ricerca preistorica e storica, entusiasmante per la novità e la forza delle argomentazioni: Armi, acciaio e malattie...”
Articolo di Luca e Francesco Cavalli-Sforza apparso su «la Repubblica» del 1° luglio 1997.


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