- La centralità del mercato e del
consumo negli Stati Uniti
- Il nuovo ordine economico mondiale
- L'intenso sviluppo economico tra il
1950 e il 1973
- I caratteri dominanti del grande boom
- La fine dell'età dell'oro
Già negli anni '20, il sistema
cosiddetto fordista spostava, negli Stati Uniti, il centro dello
sviluppo capitalistico dalla produzione al consumo. Gli
operai, i salariati, gli impiegati diventavano consumatori: nasceva
così la società dei consumi di massa. Il grande mercato
degli Stati Uniti, di dimensioni continentali, si ridefiniva intorno
alla centralità della domanda di merci.
La distribuzione e il consumo
erano più importanti della produzione e orientavano la
produzione stessa, nel senso più gradito alla massa dei compratori e
dei consumatori.
Il processo di ristrutturazione capitalistica degli
anni '30, che supererà in senso progressivo la crisi degli anni '20, si gioverà largamente delle
politiche economiche suggerite dall'economista inglese Keynes.
Queste politiche economiche, sollecitavano un forte intervento
finanziario dello Stato e anche un grosso indebitamento pubblico al
fine essenziale di espandere la domanda di merci e quindi
espandere l'incremento della produzione e la diffusione del
lavoro.
Mentre l'Europa combatteva le
sue guerre di religione novecentesche, guerre ideologiche,
avanzando nella devastazione dei propri territori e delle sue
strutture materiali e simboliche, gli Stati Uniti procedevano
alla riorganizzazione della centralità espansiva del
mercato, nella prospettiva della diffusione dei consumi e
dei consumatori, in una economia mondiale aperta.
Una società frammentata e multietnica come quella statunitense, non
aveva conosciuto i processi di unificazione nazionale e di
identificazione e integrazione sociale che si erano realizzati negli
Stati europei nei secoli precedenti, era quindi nel mercato
che si ricomponevano i diversi settori e segmenti sociali negli Stati Uniti
d'America, così come le
gerarchie non potevano essere stabilite da antichi status sociali
come avveniva in Europa, perché negli Stati Uniti questi status
consolidati non esistevano, ma le gerarchie venivano definite
immediatamente ed esclusivamente dal livello dei redditi e dei
consumi.
Negli Stati Uniti quindi, la politica
rientrava nella logica contrattualistica dello scambio, erano
assenti le politiche redistributive, le forme di
assistenza sociale che caratterizzavano, fin dal secondo '800 le
tradizioni politico-sociali dei diversi paesi europei. Queste
tradizioni europee erano state accomunate nelle differenti
tendenze progressive ma anche nelle tendenze conservatrici, da
precise forme e istituti tipici del riformismo solidaristico,
sia le tendenze progressive sia le tendenze conservatrici.
La centralità del mercato e del
consumo in un processo di sviluppo di dimensioni mondiali,
guidato dalla nuova potenza egemone statunitense,
preparava la sostituzione della politica fondata sulle
norme di legge e sui partiti organizzati di ascendenza
ideologica, con la rappresentanza diretta dei gruppi
organizzati di interesse.
Il nuovo ordine mondiale del secondo dopoguerra venne definito a Bretton
Woods, negli Stati Uniti, nel New Hampshire, nell'estate del 1944.
Si
incontrarono qui una delegazione statunitense guidata dal
sottosegretario al tesoro White, e una delegazione inglese guidata da
Keynes, che diede, Keynes, un segno inconfondibile agli accordi e ai
caratteri del sistema economico che si consoliderà nel quarto di
secolo seguente.
La cooperazione monetaria ed economica tra gli
Stati, era il perno degli accordi e delle istituzioni appositamente
costituite a Bretton Woods e durate fino ad oggi praticamente.
Il Fondo Monetario Internazionale,
l'FMI, aveva il compito e ed ha il compito, di assicurare la
stabilità dei cambi tra le diverse monete, utilizzando risorse messe
a disposizione per il fondo da diversi paesi. Il fondo doveva, il
Fondo Monetario Internazionale, doveva anche operare per l'allargamento del commercio
internazionale e per l'aumento della occupazione per la diffusione
del lavoro.
L'obiettivo privilegiato del Fondo Monetario
Internazionale è stato però essenzialmente il rigore
monetario e finanziario.
C'era poi la Banca Mondiale; la Banca
Mondiale aveva il compito di favorire lo sviluppo delle aree
più arretrate fornendo le risorse finanziarie richieste dal decollo produttivo e
industriale.
Questo però non si è realizzato compiutamente perché
la distanza tra i paesi sviluppati e i paesi arretrati non si è
accorciata, nemmeno durante il periodo più prospero, ma soltanto per
i paesi avanzati.
Tra il 1950 e il 1973, si è sviluppato un
fenomenale processo di crescita economica: innanzitutto nell'Europa
occidentale e poi in Giappone e negli Stati Uniti. Questo periodo, circa un quarto di secolo, è stato definito età
dell'oro. Il
grande boom di quegli anni è stato riconosciuto più tardi,
retrospettivamente, quando il periodo del tumultuoso sviluppo si era
concluso nei travagliati anni '70.
Il prodotto nazionale pro-capite e
quindi il reddito medio dei cittadini dei 15 paesi dell'attuale
Unione Europea e della Svizzera, aumentano in ciascun anno del
periodo 1950-1973 del 4%, un aumento del 4% l'anno; l'aumento medio
degli Stati Uniti nello stesso periodo è del 2,4% l'anno mentre
quello del Giappone balza all'8%.
L'Italia ha un tasso annuo di
crescita molto forte in questi anni, il 5% l'anno.
Nell'età dell'oro si registra quindi
un forte recupero delle economie dell'Europa occidentale e del
Giappone nei confronti del leader mondiale dello sviluppo, che
sono gli Stati Uniti. L'indice della inflazione, che segna il rialzo
dei prezzi e la corrispondente perdita di valore della moneta, si
mantiene basso in questo periodo, intorno al 4%.
Anche sul piano del lavoro e della
occupazione, questo è un periodo eccezionale: il tasso di
disoccupazione medio nei paesi sviluppati era soltanto del 2%.
Nel quarto di secolo della grande
espansione della economia e della società occidentale, la crescita
non ha conosciuto significative interruzioni.
La tipica discontinuità dello sviluppo
economico, che si alterna a periodi di crisi, è temporaneamente
scomparsa in questo periodo. Questo aspetto contribuisce
ulteriormente a definire l'eccezionalità del venticinquennio
seguito alla seconda guerra mondiale.
L'espressione età dell'oro appare
quindi giustificata dal forte sviluppo di questi processi
concomitanti: la ricchezza cresceva in un contesto di alta
occupazione, di diffusione del lavoro, di elevata stabilità
monetaria, di riduzione delle diseguaglianze economiche.
Tra le caratteristiche più rilevanti
del periodo vi è certamente l'alto grado di cooperazione tra
i paesi occidentali, sia
a livello economico che sul piano politico.
Erano servite, e impedivano quindi di
commettere gli stessi errori, le disastrose esperienze compiute in
seguito alle misure punitive assunte nei trattati di pace del
1919-1920, subito dopo la Prima Guerra Mondiale e anche le esperienze
non meno disastrose seguite ai tentativi autarchici degli anni '30,
quando da più parti si era cercato di scaricare sugli altri paesi
gli effetti devastanti della grande depressione. Keynes, negli anni
difficili della crisi, fu instancabile nel denunciare, della crisi
degli anni 30, fu instancabile nel denunciare l'irrazionalità del
tentativo, scriveva Keynes, di scaricare i guai sul vicino.
Keynes
auspicava un cambiamento radicale nella cultura dei governi,
a favore di un assetto internazionale più ordinato, di tipo
cooperativo. Furono questi, insieme ai legami
politico-ideologici del conflitto, determinati dal conflitto con
l'Oriente comunista, i fattori che favorirono l'assetto cooperativo
delle relazioni internazionali tra i paesi occidentali nel secondo
dopoguerra.
L'età dell'oro dello sviluppo
capitalistico mondiale inizia con un compromesso tra politica
ed economia.
Il
bastone di comando è ancora nelle mani della politica e
degli Stati, così in
America come in Europa.
La regola dei cambi fissi delle monete,
tra le monete, stabilita questa regola a Bretton Woods, lascia alla
politica, ai governi nazionali, agli stati di cui le banche
centrali sono soltanto lo strumento operativo, il potere
fondamentale di determinare, di fissare il valore delle monete, e
quindi le relazioni degli scambi.
Con questo limite di direzione
politica che caratterizza il sistema,
che si può definire fordista-keinesiano,
fino alla fine degli anni '60, lo sviluppo capitalistico
assume rapidamente il carattere di una economia mondiale.
La sovrapproduzione di merci e la
sovrabbondanza di capitali costituiscono l'enorme fondamento
materiale della politica statunitense, che punta decisamente alla
libera circolazione nel mondo di individui, merci, capitali.
La
sovranità degli Stati nazionali diventa ora un
ostacolo alla libera espansione trans-nazionale di un
mercato mondiale.
La politica di riarmo, nel quadro
della guerra fredda, a partire dalla guerra di Corea nel 1950,
costituirà l'incentivo essenziale per l'avvio della fase
più espansiva dell'economia capitalistica.
Si è perfino sostenuto che la guerra fredda fu il più
importante motore del grande boom
economico di questi anni.
Questa è forse una esagerazione, ma la
gigantesca mole di aiuti finanziari erogati dal piano
Marshall contribuì certamente alla rapida modernizzazione dei
paesi europei destinatari degli aiuti finanziari e fu certo la guerra
fredda a spingere i dirigenti americani verso una idea più
lungimirante, convincendoli che era politicamente urgente aiutare a
crescere il più in fretta possibile paesi che in futuro potevano
diventare, e in effetti diventarono, concorrenti degli Stati Uniti
sui mercati mondiali: il Giappone, la Germania, l'Europa.
La più importante caratteristica
dell'età dell'oro era la necessità di investimenti continui
e cospicui nella ricerca di nuove tecnologie e processi di
innovazione.
Questo grande balzo in avanti
consistette in una sostanziale ristrutturazione, in una sostanziale
riforma del capitalismo e in una spettacolare mondializzazione
e internazionalizzazione dell'economia.
Questa riforma
del capitalismo produsse una economia mista che consentì agli
Stati di programmare e dirigere il processo di modernizzazione
economica e sociale, economia mista in parte pubblica,
in parte privata.
Politici, funzionari e anche
imprenditori, nell'occidente post bellico, dopo la seconda guerra
mondiale, erano convinti della inopportunità di un liberismo
totale.
Certi obiettivi politici: piena
occupazione, contenimento del comunismo, modernizzazione delle
economie in ritardo o in declino, avevano la priorità assoluta
e giustificavano il più forte intervento governativo.
Il futuro pareva nella economia
mista. L'età dell'oro fu in pratica l'era del libero
commercio, dei liberi movimenti di capitali e delle monete stabili,
secondo i disegni dei pianificatori occidentali al tempo della
grande crisi e della guerra.
La domanda di merci si accrebbe in
misura enorme; l'età dell'oro democratizzò il mercato,
ha scritto lo storico inglese Hobson.
L'internazionalizzazione dell'economia
moltiplicò la capacità produttiva dell'economia mondiale, il
commercio dei prodotti industriali esplose soprattutto tra i paesi
avanzati, moltiplicandosi di 10 volte in questo quarto di secolo. Non
è altrettanto chiaro se si possa spiegare l'età dell'oro con la
rivoluzione tecnologica, benché questa fosse assai consistente.
Gran
parte della nuova industrializzazione di questi decenni
infatti fu l'effetto della diffusione in nuovi paesi di
vecchie forme industriali basate su vecchie tecnologie.
La
libera espansione transnazionale di un mercato mondiale trovava un
ostacolo rilevante nella sovranità degli Stati nazionali
che in Europa si muovevano con una certa autonomia
rispetto al modello rigidamente liberistico del processo di
crescita statunitense.
La diversa tradizione storica degli
Stati nazionali europei, fortemente caratterizzata
dall'insorgere ottocentesco della questione sociale e dalle
diverse risposte prodotte al riguardo da tutte le parti politiche,
pur tra aspri contrasti reciproci, darà ampio spazio nel secondo
dopoguerra alla attuazione di diverse forme di stato
sociale, in aperta
distanza e divergenza dal modello di sviluppo americano.
La gran parte degli stati dell'Europa occidentale, nel secondo
dopoguerra, costituirono governi democratici fondati su norme
comuni di consenso sociale e sul ruolo crescente
dell'intervento pubblico nell'economia.
Si realizzò una sorta di restaurazione degli stati
nazionali, ora però con forti connotati sociali, che
sostituivano i caratteri espansionistici dei nazionalismi
dell'anteguerra.
La costruzione della Comunità
Europea si accompagnò così alla rinascita, in Europa, degli
Stati nazionali nella forma prevalente dello Stato sociale.
La nuova base sociale del potere politico che si
organizzava nei partiti di massa, spinse la spesa pubblica
a livelli che stimolavano la domanda di merci in una larga
attuazione di politiche di stampo keinesiano o nella
direzione di una economia sociale di mercato,
come avveniva nella Germania del cancelliere Adenauer (in
carica dal 1949 al 1963) e del ministro del tesoro (poi Cancelliere)
Erhard.
Il modello fordista di
industrializzazione e di modernizzazione, con la diffusione dei
consumi di massa, giungeva in Europa dagli Stati Uniti insieme con i
pianificatori del piano Marshall, che cercavano di coniugare New Deal
mondiale e internazionalizzazione liberistica della economia.
Ma gli stati europei procedevano
contemporaneamente alla costruzione dei loro differenti modelli di stato sociale, o stato
del benessere, o welfare-state.
Questi diversi modelli di welfare erano
comunque caratterizzati da forme diffuse di protezione e di
assistenza sociale, di sistemi nazionali sanitari, di garanzie
previdenziali e pensionistiche, di relazioni industriali e di
negoziazioni di tipo neo-corporativo, fondate cioè sugli accordi
tra le diverse parti sociali e politiche.
Pertanto, nel primo
quindicennio post bellico si sviluppa in Europa un complesso
processo di interazione tra i modelli nazionali di sviluppo, guidati
dai governi in una logica costante di compromessi con le
esigenze del mercato interno, che era organizzato prevalentemente
secondo le regole del welfare, dello stato sociale da una parte,
dall'altro la progressiva internazionalizzazione dell'economia,
attraverso la costante liberalizzazione di tutti i fattori del mercato.
Il
modello istituzionale ed economico che si afferma nell'Europa della
ricostruzione post bellica e dello sviluppo, del welfare, dello stato
sociale, punta dovunque all'obiettivo politico e sociale della
massima occupazione, del lavoro per tutti,
pertanto si pone in termini distinti e distanti
rispetto al neocapitalismo di stampo liberistico proprio degli
Stati Uniti d'America.
La diffusione dei consumi massa nei paesi
europei, provvederà
peraltro a sgretolare in pochi decenni le identità collettive
e i valori di tipo solidaristico e comunitario che avevano
caratterizzato in Europa la formazione delle grandi aggregazioni
sociali di orientamento socialista e cristiano.
In termini generali, può dirsi che il grande boom
del quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale, si
sviluppa attraverso un ampio intreccio di fordismo e di
keinesismo, che in forme diverse si espande dagli Stati Uniti
verso l'Europa occidentale e verso il Giappone.
Il sistema della
produzione in serie comporta la standardizzazione dei
prodotti, l'omologazione,
l'unificazione, la semplificazione e l'omologazione dei prodotti,
consumi di massa e quindi definizione, come si
dice, di nuovi stili di vita, nuovi modi di vita caratterizzati
appunto dalla diffusione dei consumi a livello delle masse.
Il grande
boom fu alimentato
anche da vasti flussi di migrazioni interni,
di spostamenti di popolazione, dalle campagne alle città,
dall'agricoltura all'industria, dalle regioni arretrate alle regioni
avanzate.
Ma già alla metà degli anni '60, il
sistema fordista-keinesiano appare in difficoltà: i motivi sono
molteplici.
Innanzitutto si intensifica la concorrenza internazionale
tra gli Stati Uniti, i paesi europei, il Giappone.
I paesi europei e
il Giappone hanno completato ormai la ricostruzione e sono diventati dei forti competitori,
nel mercato mondiale, rispetto agli Stati Uniti d'America.
Per questo e in questi termini si avvia
quella nuova situazione internazionale di tipo conflittuale
che è stata definita 'un nuovo conflitto economico mondiale', che si
determina tra queste grandi aree economiche, diventate tra di loro
concorrenziali, per la conquista di spazi, di fette del mercato
mondiale.
L'economia mondiale nell'età dell'oro, nel venticinquennio
segnato dal grande sviluppo, rimase internazionale, piuttosto che
diventare già transnazionale; i paesi cioè commerciarono tra di
loro in misura sempre più grande. Le entità statali nazionali
rimanevano forti, consistenti.
Dagli anni '60 invece, comincia
ad emergere una economia sempre più transnazionale, che si
espande attraverso gli Stati, che tende a superare le differenze, le
distinzioni dagli Stati in una situazione in cui i confini
nazionali diventano sempre più un ostacolo per
l'espansione di una economia che appunto si
trans-nazionalizza, tende a ad annullare le distinzioni di tipo statale-nazionale.
Questo è un
sistema di attività economiche per cui i territori e le frontiere
degli stati non sono la struttura fondamentale, non sono più la
struttura fondamentale, ma diventano fattori di difficoltà e
di complicazioni per il libero espandersi di un mercato
appunto transnazionale. Questa economia transnazionale diventa
una forza globale effettiva a partire dagli anni '70.
Il
processo di transnazionalizzazione si mostrava in tre
fenomeni fondamentali:
- la formazione di aziende
transnazionali, le cosiddette multinazionali, imprese multinazionali
- la nuova divisione internazionale del
lavoro
- il diffondersi dei cosiddetti
paradisi fiscali e finanziari, detti in inglese offshore.
Attraverso questi nuovi strumenti,
l'economia capitalistica sfuggiva al controllo degli Stati
nazionali e ad ogni tipo di controllo. Gli Stati cominciavano a
perdere i poteri che ne avevano costituito l'identità e la
sostanza durante tutta l'età moderna.
Il potere di imposizione fiscale, di
mettere le tasse, e più recente la tutela del lavoro e delle
posizioni sociali deboli, si andavano a dissolversi in questo nuovo
ordine economico mondiale. Negli anni '60 il vecchio centro della
Finanza internazionale, la City di Londra, si trasformò in
uno dei più grandi centri mondiali della finanza cosiddetta
offshore.
I
dollari depositati in banche non statunitensi e non rimpatriati negli
Stati Uniti, per evitare le restrizioni imposte dalle leggi bancarie
americane, divennero uno strumento di transazione finanziaria,
questi dollari, che assunsero il nome di eurodollari.
Questi dollari fluttuanti che si muovevano liberamente sul mercato,
accumulati in quantità enormi grazie ai crescenti investimenti
americani all'estero e alle enormi spese politiche e
militari del governo statunitense, impegnati nella, impegnato
nella guerra del Vietnam, divennero la base di un mercato mondiale
completamente incontrollato.
Il mercato degli eurodollari salì da
14 miliardi nel 1964 a 160 miliardi di dollari nel 1973 e toccò il
vertice di 500 miliardi nel 1978, quando divenne il meccanismo
principale per riciclare i profitti petroliferi dei paesi
arabi, produttori di
petrolio, riuniti nell'OPEC.
Gli Stati Uniti furono il primo
paese a trovarsi in balìa di questi vasti flussi di
capitale indipendente che scorrevano per tutto il mondo alla ricerca
di rapidi profitti.
La formazione del mercato dell'euro-dollaro segna
la ridotta capacità degli Stati Uniti di controllare il sistema finanziario internazionale.
Le imprese
multinazionali cominciano a trasferire all'estero, nel
sudest asiatico e in America Latina, le attività produttive del
ciclo chiamato 'di accumulazione di tipo fordista', del ciclo di industrializzazione di tipo fordista.
Trasferiscono le imprese, il lavoro
in questi
paesi dove il costo è
bassissimo e non ci sono protezioni sociali, appunto per
abbattere, ridurre ai minimi termini il costo del lavoro, sfuggendo
alle rigidità imposte dalle organizzazioni operaie
dell'occidente, soprattutto europeo.
Una nuova divisione internazionale del
lavoro cominciò a scalzare la vecchia, le grandi multinazionali, le
grandi imprese multinazionali, dalla metà degli anni '60 aprivano
stabilimenti in tutti i continenti, dall'Asia all'America Latina,
all'Africa.
La rivoluzione dei trasporti e
delle comunicazioni con le nuove tecnologie informatiche,
consentiva di suddividere la produzione di un singolo
articolo tra diversi stabilimenti collocati anche in
continenti diversi e distanti.
Mentre avvenivano questi processi
di integrazione su scala planetaria, le economie nazionali
dei grandi stati, cedevano il passo di fronte a queste grandi
aziende offshore, al di fuori di ogni controllo.
Entrava in crisi il patto sociale, quel patto che era stato
concordato tra governi, tra i governi dei paesi avanzati: imprese,
sindacati dei lavoratori.
Il patto che si era fondato
sulla combinazione tra crescita economica, alti profitti,
il pieno impiego e tutela dei lavoratori.
Durante l'età dell'oro, il sistema del
welfare-state, dello stato sociale, aveva accresciuto le
spese per i servizi sociali, sussidi di disoccupazioni, pensioni,
assistenza sanitaria, istruzione. Tutto questo gravava sulla spesa
pubblica, sulla spesa statale, che di conseguenza vedeva crescere
la tendenza al deficit sempre più consistente, allo sbilancio
dei conti pubblici.
Tutti gli stati avanzati, tendevano a diventare
stati assistenziali.
La situazione politica dei paesi
avanzati, con economia di mercato, sembrava tranquilla quando
l'improvvisa esplosione di radicalismo giovanile
studentesco in tutto il mondo, dagli Stati Uniti d'America, dalle
grandi università della costa dell'Est e dell'ovest, all'Europa
occidentale, all'Europa orientale, la primavera di
Praga, all'America Latina, Città del Messico, alla Cina, le Guardie
Rosse, tutto il mondo giovanile, per motivi diversi e in forme anche
radicalmente diverse, entrò in ebollizione. Questa
esplosione di radicalismo giovanile colse di sorpresa, nel '68,
politici e intellettuali.
L'equilibrio dell'età dell'oro si era
logorato, non sarebbe durato ancora a lungo. In effetti i
movimenti giovanili e poi le lotte sociali, nei luoghi del più
intenso sviluppo sul finire degli anni '60, pongono fine al
compromesso sociale segnato dall'intreccio tra fordismo e
keinesismo, tra crescita economica e piena occupazione, tra
autonomia nazionale incardinata nel welfare-state, nello stato
sociale e interdipendenza internazionale di stampo liberistico.
L'età dell'oro può
considerarsi conclusa già il 15 agosto 1971, quando il
presidente americano Richard Nixon annuncia al mondo che il
dollaro non è più convertibile in oro.
Finiva l'era segnata dagli accordi di Bretton
Woods, gli Stati Uniti si chiamavano fuori da quel sistema
cooperativo e ammettevano di non avere oro a sufficienza per
garantire la copertura della massa dei dollari in circolazione
nel mondo. Tuttavia, a livello di massa, la percezione della fine
dell'epoca del benessere, che durava da oltre due decenni, si diffuse
qualche anno dopo, nel 1973, con la crisi petrolifera, diretta
conseguenza della guerra del Kippur tra arabi e israeliani.
La crisi petrolifera venne
determinata dall'atteggiamento dell'OPEC, l'Organizzazione dei Paesi
Esportatori di petrolio, che tra l'ottobre e il dicembre del '73
aumentò il prezzo del barile di petrolio da $ 3 a quasi $ 12, quindi
si quadruplicò il prezzo del petrolio.
Vedete nel grafico l'andamento del
prezzo internazionale del petrolio tra il 1970 e il 1990, con
l'aumento vertiginoso che si verificò tra il '73 e l'81
La decisione dell'OPEC, volta
evidentemente a danneggiare l'economia dei paesi filo-israeliani,
si ripercosse negativamente sulla intera economia mondiale, che entrò
in una congiuntura estremamente difficile, caratterizzata da un'alta
inflazione a causa dell'enorme crescita dei costi di
produzione e da una prolungata recessione dovuta alla
diminuzione della produzione e dei consumi.
Dopo quella del 1929, si trattava della
crisi economica più grave che avesse mai colpito l'economia
capitalistica. Con essa
terminava il lungo periodo di prosperità che durava da circa un
quarto di secolo e iniziava un decennio di stagnazione e di
diffusa disoccupazione.
La crisi comportò profondi
cambiamenti negli assetti politici delle democrazie
occidentali con l'avvento di una nuova classe dirigente che in
nome di un generico ritorno al libero mercato invocò e realizzò
una drastica riduzione dell'intervento dello Stato
nell'economia il che, almeno nell'immediato, si tradusse in un
ulteriore peggioramento delle condizioni di vita di larghi
strati popolari, che già erano stati duramente colpiti dagli effetti
della crisi economica.
Abbiamo concluso questa lezione,
ricapitoliamo adesso i punti attraverso cui si è sviluppata:
- La centralità del mercato e del
consumo negli Stati Uniti
- Il nuovo ordine economico mondiale
- L'intenso sviluppo economico tra il
1950 e il 1973
- I caratteri dominanti del grande boom
- La fine dell'età dell'oro
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